ðåôåðàòû êîíñïåêòû êóðñîâûå äèïëîìíûå ëåêöèè øïîðû

Ðåôåðàò Êóðñîâàÿ Êîíñïåêò

Gruppo Sanguigno

Gruppo Sanguigno - ðàçäåë Ìåäèöèíà, Dosar medical   La Seguii Per Tutto Il Giorno Attraverso Gli Occhi Degli Altr...

 

La seguii per tutto il giorno attraverso gli occhi degli altri, appena consapevole di ciò che mi circondava.

Non attraverso gli occhi di Mike Newton, non avrei potuto sopportare oltre le sue offensive fantasie, e neanche quelli di Jessica Stanley, perché il suo risentimento per Bella mi faceva arrabbiare in un modo che non sarebbe stato sicuro per quella meschina ragazza. Angela Weber era una buona scelta per me, quando i suoi occhi erano disponibili; era buona – la sua testa era un posto sereno. A volte erano gli insegnanti che fornivano la vista migliore.

Fui sorpreso, guardandola inciampare nel corso della giornata – incespicando su crepe nel marciapiede, su libri sparsi, e, molto più spesso, sui suoi stessi piedi – che le persone che origliavo di nascosto pensassero che Bella fosse goffa.

Lo presi in considerazione. Era vero che spesso aveva problemi a stare dritta. La ricordai inciampare nel banco il primo giorno, scivolare sul ghiaccio prima dell’incidente, cadere sul bordo della porta ieri...Che strano, avevano ragione. Lei era goffa.

Non sapevo perché la trovassi così divertente, ma risi rumorosamente mentre camminavo dall’Aula di Storia verso quella di Inglese e diverse persone mi lanciarono occhiate diffidenti. Come avevo fatto a non essermene mai accorto prima? Forse perché c’era qualcosa di molto aggraziato in lei quando era ferma, il modo in cui reggeva il suo capo, l’arco del suo collo...

Adesso non c’era niente di aggraziato in lei. Il professor Varner la osservò mentre la punta del suo stivale si impigliava nel pavimento e cadeva letteralmente sulla sedia.

Risi ancora.

Il tempo trascorreva con inesorabile pigrizia, mentre io aspettavo la mia occasione per poterla vedere con i miei occhi. Finalmente, la campanella suonò. Mi diressi a grandi passi verso la caffetteria per assicurarmi un posto. Fui uno dei primi. Scelsi un tavolo che solitamente rimaneva vuoto, e che sicuramente sarebbe rimasto tale finché io vi fossi rimasto seduto.

Quando la mia famiglia entrò e mi vide seduto da solo in un nuovo posto, non furono sorpresi. Alice doveva averli avvertiti.

Rosalie camminò impettita oltrepassandomi senza uno sguardo.

Idiota.

Rosalie ed io non avevamo mai avuto rapporto facile – l’avevo offesa la prima volta che mi aveva udito parlare, e da allora andava sempre peggio – ma sembrava che in questi ultimi giorni fosse addirittura più stizzosa. Sospirai. Rosalie agiva soltanto per il proprio interesse personale.

Jasper mi fece un mezzo sorriso quando mi passò vicino.

Buona fortuna, pensò con un’aria dubbiosa.

Emmett alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.

Ha perso la testa, povero ragazzo.

Alice era raggiante, i suoi denti risplendevano troppo chiaramente.

Posso parlare con Bella ora??

“Stanne fuori,” dissi sibilando.

Chinò il capo, ma poi si illuminò di nuovo.

Bene. Testardo. E’ solo una questione di tempo.

Sospirai ancora.

Non dimenticarti della lezione di biologia di oggi, mi ricordò.

Annuii. No, non l’avevo dimenticato.

Mentre aspettavo l’arrivo di Bella, la seguii attraverso gli occhi delle matricole che camminavano alle spalle di Jessica diretti alla caffetteria. Jessica stava blaterando dell’imminente ballo, ma Bella non diceva nulla. Non che Jessica gliene desse mai l’occasione.

Nel momento in cui Bella attraversò la porta della caffetteria, i suoi occhi scattarono verso il tavolo nel quale stavano seduti i miei fratelli. Li fissò per un istante, e poi accigliò tristemente e abbassò il suo sguardo a terra. Non mi aveva notato.

Sembrava così...triste. Sentii un bisogno irrefrenabile di alzarmi e portarmi al suo fianco, per consolarla in qualche modo, solo non sapevo cosa averebbe trovato confortante. Non avevo idea di cosa la facesse stare in quel modo. Jessica continuava a chiacchierare del ballo senza sosta. Bella era triste perché se lo sarebbe perso? Non sembrava logico...

Ma si poteva trovare un rimedio, se lo desiderava.

Comprò una bibita per pranzo e nient’altro. Era giusto? Non aveva bisogno di più nutrimento di quello? Non avevo mai prestato molta attenzione alla dieta degli umani prima d'ora.

Gli umani erano così esasperatamente fragili! C’erano milioni di cose diverse delle quali preoccuparsi…

“Edward Cullen ti sta fissando di nuovo,” sentii dire Jessica. “Chissà come mai oggi se ne sta da solo.”

Fui grato a Jessica, sebbene adesso fosse persino più risentita, perché la testa di Bella si alzò di scatto e i suoi occhi si misero alla ricerca finché non incontrarono i miei.

Ora non c’era traccia di infelicità sul suo viso. Lasciai che la speranza mi suggerisse che era triste perché pensava che avessi lasciato presto la scuola, e questa speranza mi fece sorridere.

Con il dito le feci segno di unirsi a me. Sembrò così stupita da questo fatto che mi venne voglia di stuzzicarla ancora.

Così le feci l’occhiolino, e la sua bocca si spalancò.

“Ce l’ha con te?” chiese Jessica scortesemente.

“Forse ha bisogno d’aiuto per i compiti di biologia,” disse con voce debole, incerta, “Uhm, penso che mi toccherà andare a sentire cosa vuole.”

Questo era un altro sì.

Incespicò due volte sul percorso verso il mio tavolo, sebbene non ci fosse nulla a intralciarla ma solo il linoleum perfettamente piatto. Seriamente, come avevo potuto lasciarmelo sfuggire prima? Avevo prestato più attenzione ai suoi pensieri silenziosi, ipotizzai...Cos’altro mi ero perso?

Sii onesto, sii chiaro, cantilenai a me stesso.

Si fermò dietro la sedia davanti a me, esitante. Inalai profondamente, dal naso stavolta anziché dalla bocca.

Senti il bruciore, pensai secco.

“Perché non mi fai compagnia, oggi?” le chiesi.

Tirò fuori la sedia e si sedette, fissandomi per l’intera durata dell’operazione. Sembrava nervosa, ma la sua accettazione fisica era ancora un sì.

Aspettavo che parlasse.

Gli occorse un momento, ma, finalmente, disse, “Così è diverso.”

“Beh...” esitai. “Ho pensato che se proprio devo andare all’inferno, tanto vale andarci in gran stile.”

Cosa mi aveva spinto a dirlo? Pensai che era onesto, almeno. E forse lei aveva udito l’esplicito avvertimento che le mie parole implicavano. Magari si sarebbe resa conto che avrebbe dovuto alzarsi e andarsene il più velocemente possibile...

Non si alzò. Mi fissava, in attesa, come se avessi lasciato la mia frase incompiuta.

“Sai bene che non ho la più pallida idea di cosa tu stai dicendo,” disse quando non continuai.

Era un sollievo. Sorrisi.

“Certo che lo so.”

Era difficile ignorare i pensieri che mi strillavano addosso da dietro la sua schiena – e avrei voluto comunque cambiare discorso.

“Credo che i tuoi amici siano arrabbiati con me perché ti ho rapita.”

Non sembrò preoccuparla. “Sopravvivranno.”

“Non è detto che ti restituisca, però.” Non sapevo ancora se adesso stessi cercando di essere onesto, o semplicemente se la stessi prendendo in giro. Stare vicino a lei rendeva difficile dare un senso ai miei pensieri.

Bella deglutì rumorosamente.

Risi della sua espressione. “Sembri preoccupata.” Non avrebbe dovuto proprio essere divertente...

Avrebbe dovuto preoccuparsi.

“No.” Era una pessima bugiarda; e la sua voce rotta non aiutò. “Sorpresa, più che altro...a cosa devo tutto questo?”

“Te l’ho detto,” le ricordai. “Sono stanco di sforzarmi di starti lontano. Perciò ci rinuncio.” Trattenni il sorriso sul mio volto con un piccolo sforzo. Non stava funzionando per niente – cercare di essere onesto e disinvolto allo stesso tempo.

“Rinunci?” ripeté, perplessa.

“Sì – rinuncio a sforzarmi di fare il bravo.” E, apparentemente, anche a sembrare disinvolto. “D’ora in poi farò solo ciò che mi va e mi prenderò quel che viene.”

Era abbastanza onesto. Lasciarle vedere il mio egoismo. Lasciare che ciò la mettesse in allarme, anche.

“Mi sono persa un’altra volta.”

Ero abbastanza egoista da essere lieto che fosse questo il caso. “Quando parlo con te mi lascio sempre scappare troppe cose – questo è uno dei problemi.”

Piuttosto insignificante, in confronto al resto.

“Non ti preoccupare,”mi tranquillizzò lei. “Tanto non ne capisco una.”

Bene. Allora sarebbe rimasta. “Ci conto.”

“La traduzione di tutto questo è che ora siamo amici?”

Riflettei per un secondo. “Amici...” ripetei. Non suonava bene. Non era abbastanza.

“Oppure no,” mormorò, imbarazzata.

Pensava di non piacermi così tanto?

Sorrisi. “Beh, possiamo provarci, immagino. Ma ti avviso da subito che non sarò un buon amico, per te.”

Rimasi in attesa della sua risposta, squarciato in due – sperando che avesse finalmente udito e capito, pensando che avrei potuto morire se l’avesse fatto. Che melodrammatico. Stavo ragionando da umano.

Il suo cuore iniziò a battere più veloce. “Continui a ripeterlo.”

“Sì, perché tu non mi dai ascolto,” dissi, di nuovo troppo intensamente. “Sto ancora aspettando che tu ci creda. Se sai quello che fai, cercherai di evitarmi.”

Ah, ma le avrei permesso di farlo, se ci avesse provato?

I suoi occhi si ridussero a una fessura. “A quanto pare ti sei fatto un’opinione piuttosto precisa della mia intelligenza.”

Non ero molto sicuro di quello che volesse dire, ma sorrisi per scusarmi, intuendo che dovevo averla offesa accidentalmente.

“Perciò,” disse lentamente. “Dato che per ora non so quello che faccio, possiamo provare ad essere amici?”

“Mi sembra una proposta sensata.”

Abbassò lo sguardo, fissando intensamente la bottiglia di limonata fra le sue mani.

La curiosità mi tormentava.

“A cosa stai pensando?” chiesi, fu un sollievo alla fine cacciare fuori quelle parole ad alta voce.

Incontrò il mio sguardo, e il suo respiro accelerò mentre le sue guance si tinsero di un lieve rosa. Inspirai, gustandomi l’aria.

“Sto cercando di capire cosa sei.”

Continuai a sorridere, bloccando i miei lineamenti in quell’espressione, mentre il panico mi contorceva.

Ovvio che se lo domandasse. Non era stupida. Non potevo sperare che sarebbe rimasta ignara di una cosa così evidente.

“E hai fatto qualche passo avanti?”, chiesi più disinvolto che potei.

“Non molti,”ammise lei.

Ridacchiai subito sollevato. “Hai una teoria?”

Non avrebbero potuto essere peggiori della realtà, non importava con cosa fosse venuta fuori,

Le sue guance avvamparono di nuovo di un rosso chiaro, e non disse nulla.

Potevo sentire il calore dell'imbarazzo nell’aria.

Provai a utilizzare su di lei il mio tono persuasivo. Funzionava bene sui normali umani.

“Non me la vuoi dire?” sorrisi incoraggiante.

Scosse la testa. “Troppo imbarazzante.”

Ugh. Non sapere era peggio di ogni altra cosa. Perché le sue considerazioni l’avrebbero imbarazzata? Non potevo sopportare di non saperlo.

“È una grossa frustrazione, lo sai.”

Le mie lamentele fecero scattare qualcosa in lei. I suoi occhi lampeggiarono e le sue parole scorsero con più rapidità del solito.

“No, non riesco proprio a immaginare cosa ci sia di frustrante, nel fatto che qualcuno si rifiuti di dirti cosa pensa e nel frattempo faccia anche piccole osservazioni criptiche proprio per toglierti il sonno quando ti sforzi di interpretarle...Cosa ci sarà mai di frustrante in tutto questo?”

Aggrottai le sopracciglia, turbato per aver capito che lei aveva ragione. Non mi stavo comportando correttamente.

Lei andò avanti. “Oppure, ammettiamo che questo qualcuno abbia anche fatto una serie di gesti strani. dal salvarti la vita in circostanze incredibili un giorno al trattarti come un’emarginata il giorno dopo, senza mai spiegare il suo comportamento, malgrado avesse promesso di farlo. Anche questo sarebbe estremamente non-frustrante?”

Era il discorso più lungo che le avessi sentito fare, e diede una nuova qualità per il mio elenco.

“Sbaglio o sei un po’ in collera?”

“Non mi piace il 'due pesi e due misure'.”

La sua irritazione era più che giustificata, naturalmente.

Guardai Bella, chiedendomi come potessi fare qualcosa di giusto per lei, fino a che l’urlare silenzioso nella testa di Mike Newton mi distrasse.

Era così furioso che mi fece ridere sotto i baffi.

“Cosa?”domandò.

“Il tuo amichetto è convinto che io sia scortese con te – sta decidendo se venire o no a interrompere il litigio.” L’avrei visto provare con piacere. Risi ancora.

“Non so di chi tu stia parlando,” disse gelida. “Ma sono sicura che ti sbagli.”

Mi piacque molto il modo in fui fece finta di non conoscerlo con quella sua frase sprezzante.

“Invece no. Te l’ho detto, di solito sono molto bravo a leggere le persone.”

“A parte me, ovviamente.”

“Sì. A parte te.” Sarebbe stata l’eccezione ad ogni cosa? Non sarebbe stato più giusto, considerando tutto il resto che avrei dovuto affrontare ora, se avessi potuto almeno sentire qualcosa dalla sua testa? Era chiedere tanto? “Chissà perché?”

Fissai i suoi occhi, provando ancora...

Distolse lo sguardo. Aprì la limonata e ne prese un sorso veloce, gli occhi fissi sul tavolo.

“Non hai fame?” chiesi.

“No.” Adocchiò il tavolo vuoto fra di noi. “E tu?”

“No, non ho fame,” dissi. Chiaramente non lo ero.

Osservò il tavolo con le labbra contratte. Aspettai.

“Mi faresti un favore?” chiese, incrociando di nuovo all’improvviso il mio sguardo.

Cosa avrebbe voluto da me? Avrebbe chiesto la verità che non mi era permesso rivelarle – la verità che non avrei mai, mai voluto che conoscesse?

“Dipende da quello che vuoi.”

“Non è granché,” mi promise.

Rimasi in attesa, di nuovo curioso.

“Mi chiedevo...”disse lentamente, concentrandosi sulla bottiglia di limonata, seguendone i contorni con le piccole dita. “Se ti andrebbe di farmelo sapere, la prossima volta che decidi di ignorarmi per il mio bene. Così mi posso preparare.”

Voleva un avvertimento? Quindi essere ignorata da me doveva essere una brutta cosa...sorrisi.

“Mi sembra corretto,” concordai.

“Grazie,” disse, alzando lo sguardo. Il suo volto era così sollevato che mi venne voglia di ridere del mio sollievo personale.

“In cambio, posso avere una risposta?” chiesi speranzoso.

“Una sola,” accettò.

“Spiegami una teoria.”

Arrossì. “Quella no.”

“Non hai specificato, mi hai solo promesso una risposta,” puntualizzai.

“Tu sei ancora in debito di una promessa,” ribatté lei.

Mi aveva in pugno.

“Solo una teoria: giuro che non mi metto a ridere.”

“Oh sì, lo farai.” Ne sembrava davvero certa, malgrado non potessi immaginare nulla al riguardo che potesse essere divertente.

Diedi un’altra opportunità alla mia persuasione. Fissai i suoi occhi intensamente – una cosa facile da fare con occhi così profondi – e sussurrai, “Per favore?”

Sbatté le ciglia, e il suo viso si sbiancò.

Beh, questa non era esattamente la reazione verso cui puntavo.

“Ehm, cosa?” chiese. Sembrava frastornata. Che problema aveva?

Ma non mi sarei arreso.

“Per favore, raccontami solo una teoria, una piccola,” mi appellai alla mia voce morbida e non-spaventosa, imprigionando i suoi occhi nei miei.

Con mia sorpresa e soddisfazione, finalmente funzionò.

“Ehm, dunque, sei stato morso da un ragno radioattivo?”

Fumetti? Non c’era da meravigliarsi se pensava che mi sarei messo a ridere.

“Poco originale,” la criticai, provando a nasconderle il mio sollievo.

“Scusa, ma di più non riesco a fare,” disse offesa.

Questo mi confortò anche di più. Ero ancora in grado di prenderla in giro.

“Non ci siamo proprio.”

“Niente ragni?”

“Nah.”

“Niente radioattività?”

“Niente.”

“Acci...,” sospirò.

“E la kriptonite non mi fa niente,” dissi velocemente – prima che lei potesse chiedere qualcosa riguardo ai morsi - e lì mi venne da ridere, perché lei pensava che io fossi un supereroe.

“Alt, avevi detto che non avresti riso.”

Serrai le labbra.

“Prima o poi capirò,” mi promise.

E quando lo avrebbe fatto, sarebbe scappata.

“Meglio che non ci provi,” dissi, mettendo da parte gli scherzi.

“Perché?”

Mi scocciava la sua onestà. Così, continuai a cercare di sorridere, e di rendere le mie parole meno spaventose. “E se non fossi il supereroe? Se fossi il cattivo?”

I suoi occhi si spalancarono per una frazione di secondo e le sue labbra si incurvarono ad un lato. “Oh,” disse.

E poi, dopo un altro secondo, “Capisco.”

Finalmente mi aveva dato retta.

“Davvero?” domandai, cercando di nascondere la mia agonia.

“Sei pericoloso?” intuì. Il suo respiro accelerò e quasi le venne il batticuore.

Non potei risponderle. Era il mio ultimo momento con lei? Sarebbe scappata adesso? Mi sarebbe stato permesso di dirle che l’amavo prima che se ne andasse? O l’avrebbe spaventata di più?

“Ma non cattivo,” sussurrò, scuotendo il capo, nessuna paura nei suoi occhi sereni. “No, non credo che tu sia cattivo.”

“Ti sbagli,” soffiai.

Certo che ero cattivo. Non stavo esultando ora, alla certezza che lei mi considerasse in un modo migliore di quello che meritavo? Se fossi stato una brava persona, sarei stato lontano da lei.

Allungai le mie mani sul tavolo, afferrando il tappo della limonata come distrazione. Non si ritrasse all’improvvisa vicinanza delle mie mani con le sue. Non era davvero spaventata da me. Non ancora.

Invece che guardare lei, fissavo il tappo che stavo facendo roteare come una trottola. I miei pensieri erano un ringhio.

Scappa, Bella, scappa. Non potevo permettermi di dire quelle parole ad alta voce.

Scattò in piedi. “Arriveremo in ritardo,” disse, proprio mentre iniziavo a preoccuparmi che lei avesse sentito il mio silenzioso avvertimento.

“Oggi non vengo a lezione.”

“Perché no?”

Perché non voglio ucciderti. “Saltare qualche volta le lezioni fa bene alla salute.”

Per essere precisi, era salutare per gli umani se i vampiri bigiassero i giorni in cui veniva versato sangue umano. Il professor Banner faceva la lezione sui gruppi sanguigni quel giorno. Alice aveva già saltato la sua lezione quella mattina.

“Beh, io ci vado,” disse. La cosa non mi stupì. Lei era responsabile – faceva sempre la cosa giusta.

Lei era il mio opposto.

“Allora ci vediamo più tardi,” dissi, cercando ancora di essere disinvolto, lo sguardo basso fisso al tappo roteante. E, comunque sia, ti adoro...in un modo spaventoso e pericoloso.

Lei esitò, e per un momento sperai che dopo tutto restasse con me.

Ma la campanella suonò e lei si affrettò ad andare.

Aspettai finché non se ne fosse andata, quindi mi misi il tappo in tasca, un ricordo di quella conversazione così ricca, e mi diressi attraverso la pioggia verso la mia macchina.

Misi il mio CD rilassante preferito – lo stesso che stavo ascoltando il primo giorno – ma non mi concentrai sulle note di Debussy per molto. Altre note mi stavano scorrendo in testa, un frammento di un motivo che mi ispirava e mi intrigava. Abbassai lo stereo e diedi ascolto alla musica nella mia mente, suonando quel frammento finché non divenne un’armonia completa.

Istintivamente, le mie dita si mossero nell’aria sopra i tasti di un pianoforte immaginario.

La nuova composizione mi stava venendo davvero bene quando la mia attenzione venne catturata da un’ondata di angoscia mentale.

Mi voltai verso quella sofferenza.

Sta per svenire? Cosa faccio? Mike era in preda al panico

Un centinaio di metri più in là, Mike Newton stava adagiando il corpo fiacco di Bella sul marciapiede. Lei si curvò indifferente sull’umido calcestruzzo, i suoi occhi chiusi, la sua pelle bianca come quella di un cadavere.

Quasi staccai la portiera dalla macchina.

“Bella?” urlai.

Non ci fu cambiamento nel suo volto senza vita quando strillai il suo nome.

Il mio intero corpo si fece più freddo del ghiaccio.

Fui consapevole della crescente sorpresa di Mike quando setacciai furiosamente i suoi pensieri. Stava solo pensando alla sua rabbia verso di me, quindi non sapevo che cosa avesse Bella. Se le aveva fatto qualcosa di male, l’avrei annientato.

“Cos’è successo – si è fatta male?” domandai, cercando di focalizzare i suoi pensieri. Era esasperante essere costretti a camminare a velocità umana. Non avrei dovuto richiamare l’attenzione sul mio arrivo.

Poi potei sentire il suo cuore palpitante e il suo respiro regolare. Mentre la controllavo, chiuse gli occhi strizzandoli con più forza. Questo gesto alleviò parte del mio panico.

Vidi un tratto dei ricordi di Mike, uno schizzo di immagini della classe di Biologia. La testa di Bella sul nostro tavolo, la sua pelle chiara colorarsi di verde. Gocce rosse sopra foglietti bianchi...

Determinazione del gruppo sanguigno.

Mi fermai lì dov’ero, trattenendo il respiro. Il suo profumo era una cosa, ma il suo sangue che scorreva era tutt’altro.

“Temo che sia svenuta,” disse Mike, ansioso e risentito allo stesso tempo. “Non so cos’è successo, non si è nemmeno punta il dito.”

Il sollievo scivolò dentro me, e respirai ancora, assaporando l’aria. Ah, potevo sentire nell’aria il piccolo flusso proveniente dalla puntura di Mike. Tempo fa, avrebbe potuto attrarmi.

Mi inginocchiai al suo fianco mentre Mike indugiò vicino a me, furioso del mio intervento.

“Bella. Mi senti?”

“No,” bofonchiò. “Vattene.”

Il sollievo fu così avvenente che scoppiai a ridere. Stava bene.

“La stavo portando dall’infermiera,” spiegò Mike. “Ma si è intestardita a rimanere qui.”

“La porto io. Tu puoi tornare in classe.” dissi sprezzante.

Mike serrò i denti. “No. È compito mio.”

Non avevo intenzione di stare a litigare con quel miserabile.

Eccitato e terrorizzato, mezzo grato e mezzo afflitto dalla difficile situazione la quale mi metteva nelle condizioni di doverla toccare, era una necessità, sollevai delicatamente Bella dal marciapiede e la presi tra le mie braccia, toccandone solo i vestiti, mantenendo maggiore distanza possibile tra i nostri corpi. Stavo procedendo dritto davanti a me a grandi passi, nell’impazienza di salvarla, più lontano possibile da me, in altre parole.

I suoi occhi si spalancarono di botto, attoniti.

“Rimettimi giù!” ordinò con voce debole – di nuovo imbarazzata, lo intuii dalla sua espressione. Non le piaceva mostrare debolezza.

Sentii a malapena le urla di protesta di Mike dietro di noi.

“Sei conciata proprio male,” le dissi, ridacchiando perché non c’era nulla che non andasse in lei tranne che vertigini e stomaco debole.

“Rimettimi sul marciapiede,” disse. Le sue labbra erano bianche.

“Perciò la vista del sangue ti fa perdere i sensi?” Avrebbe potuto essere più ironico?

Chiuse gli occhi e strinse le labbra.

“E dire che non era nemmeno il tuo,” il mio ghigno si allargò.

Eravamo davanti la segreteria. La porta era tenuta aperta di qualche millimetro, e la scalciai via dalla mia strada.

La signorina Cope sobbalzò, sorpresa. “Oh, cielo,” esclamò, mentre esaminava la cinerea ragazza fra le mie braccia.

“È svenuta durante biologia,” spiegai, prima che la sua immaginazione potesse farsi prendere troppo la mano.

La signorina Cope si affrettò ad aprire la porta dell’infermeria. Gli occhi di Bella erano ancora aperti, guardandola. Sentii la meraviglia interna dell’anziana infermiera mentre poggiavo la ragazza sul letto logoro. Appena Bella fu fuori dalle mie braccia, frapposi fra di noi la larghezza della stanza. Il mio corpo era troppo esaltato, troppo insaziabile, i miei muscoli tesi e il veleno abbondante. Era così calda e profumata.

“Ha avuto un leggero mancamento,” rassicurai la signora Hammond. “È reduce dalla lezione sui gruppi sanguigni.”

Lei annuì, comprensiva. “C’è sempre qualcuno che fa questa fine.”

Soffocai una risata. Ovvio che Bella fosse quel qualcuno.

“Resta un po’ sdraiata, piccola,” disse la signora Hammond. “Passerà.”

“Lo so,” disse Bella.

“Ti succede spesso?” chiese l’infermiera.

“Ogni tanto,” ammise Bella.

Provai a mascherare la mia risata con un colpo di tosse.

Questo portò su di me l’attenzione dell’infermiera. “Tu puoi tornare in classe,” disse.

La guardai dritto negli occhi e mentii con perfetta sicurezza. “Devo restare con lei.”

Hmm. Chissà...oh bene. La signora Hammond annuì.

Funzionò perfettamente con lei. Perché con Bella doveva essere così difficile?

“Vado a prenderti un po’ di ghiaccio da metterti sulla fronte, cara,” disse l’infermiera, leggermente a disagio a causa del mio sguardo – il modo in cui un umano si sarebbe dovuto sentire – e lasciò la stanza.

“Avevi ragione,” si lamentò Bella, chiudendo gli occhi.

Cosa voleva dire? Saltai alla conclusione peggiore: aveva accettato i miei avvertimenti.

“Certo, come al solito,” dissi provando a mantenere il tono divertito nella mia voce; che ora suonava acida. “Ma a cosa ti riferisci adesso, di preciso?”

“Saltare le lezioni fa davvero bene alla salute,” sospirò lei.

Ah, di nuovo sollievo.

Poi restò in silenzio. Si limitava a respirare lentamente. Le sue labbra iniziavano a ridiventare rosa. La sua bocca era leggermente fuori equilibro, il suo labbro inferiore un po’ troppo pieno per eguagliare quello superiore. Osservare la sua bocca mi fece sentire strano. Mi faceva venire voglia di avvicinarmi a lei, che non era proprio una buona idea.

“Per qualche minuto mi hai messo davvero paura,” dissi per rincominciare la conversazione così che potessi udire di nuovo la sua voce. “Pensavo che Mike Newton stesse trafugando il tuo cadavere per seppellirlo nel bosco.”

“Divertente,” disse.

“Seriamente, ho visto cadaveri con un colorito migliore.” Questa era la verità effettivamente. “Ero preoccupato di dover vendicare il tuo omicidio.” E lo avrei fatto.

“Povero Mike,” esalò. “Gli saranno saltati i nervi.”

La furia pulsò dentro di me, ma la contenni rapidamente. La sua preoccupazione di certo era solo compassione. Era gentile. Ecco tutto.

“Mi detesta con tutte le sue forze,” le dissi, acclamando l’idea.

“Non puoi saperlo.”

“La sua espressione era inconfondibile.” Probabilmente era vero che leggere il suo viso mi avrebbe dato abbastanza informazioni per fare quella deduzione. Tutta questa pratica con Bella aveva affilato la mia abilità a interpretare le espressioni umane.

“Come hai fatto a vedermi? Pensavo avessi marinato la scuola.” Il suo viso sembrava migliorato, la sfumatura verde era svanita dalla sue pelle tralucida.

“Ero in macchina, ascoltavo un CD.”

I suoi lineamenti si contrassero, come se la mia comune risposta l’avesse sorpresa in qualche modo.

Aprì gli occhi quando la signora Hammond ritornò con un pacco di ghiaccio.

“”Ecco qui, cara,”disse l’infermiera mentre lo posizionava sulla fronte di Bella. “Mi sembra che vada meglio.”

“Penso di sì,” disse Bella, e si sedette mettendo via l’impacco ghiacciato. Ovviamente. Non le piaceva essere al centro dell’attenzione.

Le mani rugose della signora Hammond si mossero verso la ragazza, come se avesse intenzione di rimetterla sdraiata, ma a quel punto la signorina Cope aprì la porta dell’ufficio sporgendosi al suo interno. Con la sua comparsa giunse l’odore di sangue fresco, solo uno colpo di vento.

Invisibile nell’ufficio dietro di lei, Mike Newton era ancora molto arrabbiato, sperando che il pesante ragazzo che stava trascinando ora fosse la ragazza che era qui con me.

“Ce n’è un altro,” annunciò la signorina Cope.

Bella saltò giù rapidamente dalla branda, ansiosa di allontanarsi dai riflettori.

“Tenga,” disse, restituendo l’impacco alla signora Hammond. “Non mi serve più.”

Mike spinse Lee Stevens oltre la porta con un grugnito. Il sangue stava ancora colando lungo la mano che Lee teneva sul viso, scorrendo piano verso il polso.

“Oh no.” Questo fu il segnale che per me era ora di andarmene,e anche quello di Bella, sembrava. “Esci, torna in segreteria, Bella.”

Lei mi fissò con occhi sconcertati.

“Fidati – vai.”

Girò rapida su se stessa e afferrò la porta prima che si chiudesse, passandoci in fretta attraverso l’ufficio. La seguii, pochi centimetri dietro di lei. I suoi capelli svolazzanti mi sfiorarono la mano...

Si girò a guardarmi, gli occhi ancora spalancati.

“Mi hai obbedito all’istante.” Era un inizio.

Storse il suo piccolo naso. “Ho sentito odore di sangue.”

La fissai, con espressione vuota, sorpreso. “L’odore del sangue non si sente.”

“Beh, io lo sento – ecco perché mi viene la nausea. Sa di ruggine...e di sale.”

Il mio viso si irrigidì, continuando a fissarla.

Davvero era ancora umana? Lei sembrava umana. Era soffice come un’umana. Odorava di umana, beh, meglio a dire il vero. Agiva come un umana...tipo. Ma non pensava come un’umana, né reagiva come tale.

Quali altre opzioni c’erano, quindi?

“Che c’è?”domandò.

“Niente.”

Poi Mike Newton ci interruppe, entrando nella stanza con pensieri violenti, pieni di risentimento.

“Sembra che tu stia meglio,” le disse scortese.

Le mie mani si contrassero, avrei voluto insegnargli le buone maniere. Dovevo controllarmi, o avrei finito veramente per uccidere questo ragazzo odioso.

“Basta che tu tenga la mano in tasca,” lo avvertì lei. Per un secondo di follia, pensai che stesse parlando con me.

“Non sanguina più,” le rispose controvoglia. “Rientri in classe?”

“Scherzi? Dovrei fare dietrofront appena arrivata per tornarmene qui.”

Questo era molto gradevole. Avevo pensato che avrei perso un’ora intera con lei, e ora invece avevo del tempo in più. Mi sentivo bramoso, sommerso ogni minuto da onde di avidità.

“Beh, immagino...” borbottò Mike. “Allora vieni, questo fine settimana? Alla spiaggia?”

Ah, avevano dei progetti. La rabbia mi immobilizzò sul posto. Era una gita di gruppo, dopo tutto. Avevo visto una cosa del genere nelle menti degli altri studenti. Non erano soli loro due. Ero ancora furioso. Mi appoggiai al bancone immobile, cercando di controllarmi.

“Certo, ho già detto che ci sarò,” gli promise.

Quindi gli aveva già detto di sì. La gelosia bruciava, più dolorosa della sete.

No, questa è solo un’escursione di gruppo, provai a convincere me stesso. Avrebbe semplicemente trascorso la giornata con gli amici. Niente di più.

“Appuntamento al negozio di mio padre alle dieci.” E Cullen NON È invitato.

“Ci sarò,” gli disse.

“D’accordo. Ci vediamo in palestra.”

“Ci vediamo,” replicò.

Si allontanò verso la sua classe strascicando i piedi, i suoi pensieri pieni d’ira. Cosa ci vedrà mai in quel mostro? Certo, è ricco, immagino. Le ragazze pensano che sia attraente, ma io non vedo nulla di tutto questo. Troppo...troppo perfetto. Scommetto che suo padre sperimenta la chirurgia plastica su tutti loro. Ecco perché sono tutti così belli e bianchi. Non è naturale. E lui è tipo...spaventoso. A volte, quando mi guarda, giurerei che sta pensando di uccidermi...criminale...

Mike non era poi così poco perspicace.

“No...ginnastica,” disse Bella piano. Un gemito.

La guardai, e mi accorsi che era ancora triste per qualcosa. Non ero sicuro del perché, ma era chiaro che non voleva andare alla sua lezione seguente con Mike, e io ero favorevole a quel piano.

Andai al suo fianco e mi curvai vicino al suo viso, sentendo il calore della sua pelle che veniva irradiato sulle mie labbra. Non respirai.

“Me ne occupo io, “mormorai. “Siediti e impallidisci.”

Fece quanto gli avevo chiesto, si sedette su una delle sedie pieghevoli e poggiò la sua testa all’indietro contro il muro, mentre, dietro di me, la signorina Cope usciva dall’infermeria e si dirigeva al suo bancone. Con gli occhi chiusi, sembrava che Bella fosse svenuta di nuovo. Il suo colorito non era ancora completamente tornato.

Mi girai verso la segretaria. Speravo sardonicamente che Bella prestasse attenzione a tutto questo. Questo era il modo in cui gli umani avrebbero dovuto rispondere.

“Signorina Cope?” chiesi, servendomi di nuovo della mia voce persuasiva.

Le sue ciglia sbatterono, e il battito del suo cuore accelerò. Troppo giovane, riprendi il controllo!

“Sì?”

Questo era interessante. Quando il battito cardiaco di Shelly Cope si faceva più frenetico, era perché mi trovava fisicamente attraente, non perché fosse spaventata da me. Ero abituato a questo con le femmine umane...non avevo ancora considerato quella spiegazione per l’accelerazione delle pulsazioni del cuore di Bella.

Mi piacque molto. Troppo, infatti. Sorrisi, e il respiro della signorina Cope si fece più rumoroso.

“La prossima lezione di Bella è in palestra, e non credo che si senta abbastanza bene. A dire la verità, credo sarebbe più opportuno che l’accompagnassi a casa. Potrebbe preparare una giustificazione per lei?” La guardai in quegli occhi poco penetranti, compiacendomi per la strage che causò nei suoi processi mentali. Era possibile che Bella...?

La signoria Cope dovette deglutire rumorosamente prima di rispondere. “Anche tu hai bisogno di una giustificazione, Edward?”

“No, io ho la professoressa Goff. Per lei non sarà un problema.”

Ora non stavo più prestandole molta attenzione. Stavo esplorando questa nuova possibilità. Hmm. Mi piaceva pensare che Bella mi trovasse attraente come gli altri umani, ma quando Bella aveva mai avuto le stesse reazioni degli altri umani? Non dovevo alimentare queste speranze.

“Bene, è tutto sistemato. Ti senti meglio, Bella?”

Bella annuì debolmente, esagerando un poco.

“Riesci a camminare o vuoi che ti porti ancora in braccio?” chiesi, divertito dalle sue scarse doti teatrali. Sapevo che avrebbe voluto camminare, non avrebbe voluto essere debole.

“Cammino,” disse.

Ancora giusto. Stavo migliorando.

Si alzò, esitante per un momento come per controllare il suo equilibrio. Le tenni la porta aperta, e uscimmo nella pioggia.

Osservai come sollevava il viso con gli occhi chiusi verso la debole pioggia, un sorriso leggero sulle labbra. Cosa sta pensando? Qualcosa in questa azione stonava, e capii velocemente perché quel comportamento mi paresse poco famigliare. Le ragazze normali di solito non alzavano il viso alla pioggia in quel modo; di solito le normali ragazze umane portavano il trucco, persino qui in questo posto umido.

Bella non si truccava mai, ne avrebbe dovuto. L’industria di cosmetici faceva milioni di dollari all’anno grazie a donne che provavano a realizzare una pelle come la sua.

“Grazie,” disse, sorridendomi ora. “Pur di saltare ginnastica vale quasi la pena di ammalarsi.”

Guardai oltre al campo, chiedendomi come potessi prolungare il mio tempo con lei. “Quando vuoi,”dissi.

“Allora sei in partenza? Questo sabato, intendo.” Aveva l’aria speranzosa.

Ah, la sua calma era rilassante. Voleva che ci fossi io con lei, non Mike Newton. E io avrei voluto dire di sì. Ma c’erano così tante altre cose da considerare. Per primo, questo sabato avrebbe brillato il sole...

“Dove andate, di preciso?” provai a mantenere il mio tono di voce neutro, come se non importasse molto. Comunque, Mike aveva detto spiaggia. Non c’erano molte possibilità di evitare il sole là.

“Giù a La Push, a First Beach.”

Dannazione. Beh, era impossibile, quindi.

Ad ogni modo, Emmett si sarebbe irritato se avessi cancellato i nostri programmi.

Abbassai lo sguardo su di lei, sogghignando ironicamente. “Non mi sembra di essere stato invitato.”

Lei sospirò, già rassegnata. “Ti sto invitando ora.”

“Per questa settimana è meglio che io e te non esageriamo, con il povero Mike. Non è il caso di fargli saltare i nervi.” Pensai a me stesso che faceva saltare il povero Mike, e l’immagine mentale mi piacque intensamente.

“Povero Mike,” disse, di nuovo sprezzante. Sorrisi ampiamente.

Poi iniziò a camminare allontanandosi da me.

Senza pensare alle mie azioni, la raggiunsi e l’afferrai dal retro della giacca a vento. Si fermò di colpo.

“Dove pensi di andare?” Ero quasi arrabbiato che mi stesse lasciando.

Non avevo passato abbastanza tempo con lei. Non poteva andarsene, non ancora.

“Vado a casa,” disse, perplessa che questo mi turbasse.

“Non hai sentito? Ho promesso di portarti a casa sana e salva. Pensi che ti lasci guidare in quelle condizioni?” Sapevo che non le sarebbe piaciuto, la mia implicazione alla sua debolezze. Ma avevo bisogno di allenarmi per l’uscita a Seattle, comunque. Vedere se potevo sopportare la sua vicinanza in uno spazio chiuso. Questo era un viaggio molto più corto.

“Quali condizioni?” domandò. “E il mio pick-up?”

“Te lo faccio riportare da Alice dopo la scuola.” La tirai indietro verso la mia auto con attenzione, siccome sapevo che camminare in avanti era già abbastanza impegnativo per lei.

“Mollami!” disse, attorcigliandosi di lato e quasi inciampando. Sporsi fuori una mano per acchiapparla, ma si raddrizzò prima che fosse necessario. Non avrei dovuto cercare scuse per toccarla. Questo mi fece pensare alla reazione che la signora Cope aveva avuto nei miei confronti, ma la archiviai per un altro momento. C’era così tanto da considerare su quel punto.

La lasciai andare di fianco alla mia macchina, e lei incespicò sbattendo sulla portiera. Avrei dovuto essere ancora più premuroso, tenere conto del suo scarso equilibrio...

“Quanto sei prepotente!”

“È aperta.”

Andai dalla mia parte e avviai la macchina. Lei teneva il suo corpo rigido, ancora fuori, nonostante la pioggia fosse aumentata e io sapevo che detestava il freddo e il bagnato. L’acqua le stava inzuppando i folti capelli, rendendoli più scuri quasi neri.

“Sono perfettamente in grado di guidare fino a casa!”

Certo che lo era – ero io che semplicemente non ero in grado di lasciarla andare.

Abbassai il finestrino e mi allungai verso di lei. “Sali, Bella.”

I suoi occhi si restrinsero, e intuii che stava considerando se scappare o no.

“Tanto ti riprendo,” promisi, gradendo il dispiacere sul suo volto quando capì che facevo sul serio.

Con il mento rigido, aprì la portiera e salì. I suoi capelli le gocciolavano sulla pelle e i suoi stivali squittivano l’uno contro l’altro.

“Non ce n’è bisogno,” disse freddamente. Pensai che sotto la rabbia si sentisse imbarazzata.

Mi limitai a accendere il riscaldamento cosicché non si sentisse a disagio, e misi la musica ad un gradevole livello di sottofondo. Guidai fuori verso l’uscita, osservandola con la coda dell’occhio. Il suo labbro inferiore sporgeva ostinatamente. Lo fissai, esaminando come mi facesse sentire...pensando di nuovo alla reazione della segretaria...

All’improvviso lei guardò lo stereo e sorrise, i suoi occhi si spalancarono. “Clair de lune?”chiese.

Una fan dei classici? “Conosci Debussy?”

“Non bene,” disse. “Mia madre ascolta sempre un sacco di musica classica in casa, io riconosco solo i miei preferiti.”

“È anche uno dei miei preferiti.” Osservai la pioggia, riflettendo. Curiosamente, avevo qualcosa in comune con la ragazza. Avevo iniziato a pensare che fossimo opposti in tutto.

Sembrava più rilassata adesso, osservando la pioggia come me, senza vedere nulla. Mi servii della sua momentanea distrazione per provare a respirare.

Inspirai dal naso con attenzione.

Potente.

Afferrai con forza il volante. La pioggia rendeva il suo profumo migliore. Non avrei pensato che fosse possibile. Stupidamente, immaginai che sapore avrebbe avuto.

Provai a deglutire per placare le fiamme nella mia gola, a pensare a qualcos’altro.

“Com’è tua madre?” chiesi per distrarmi.

Bella sorrise. “Mi somiglia molto, ma è più carina.”

Ne dubitavo.

“Io ho troppo in comune con Charlie,” continuò. “Lei è più estroversa di me, e più coraggiosa”

Anche di questo ne dubitavo.

“Ed è una persona irresponsabile e piuttosto eccentrica, nonché cuoca imprevedibile. È la mia migliore amica.” La sua voce era diventata malinconica; la sua fronte era aggrottata.

Di nuovo, suonò più come se fosse un genitore piuttosto che una figlia.

Mi fermai di fronte a casa sua, chiedendomi troppo tardi se avessi dovuto sapere dove viveva. No, non avrebbe destato sospetti in una città tanto piccola, con suo padre come figura pubblica...

“Quanti anni hai, Bella?” Doveva essere più grande dei suoi coetanei. Forse aveva iniziato la scuola più tardi, o era stata bocciata...non era verosimile, comunque.

“Diciassette,” rispose.

“Non li dimostri.”

Rise.

“Che c’è?”

“Mia madre dice sempre che quando sono nata avevo già trentacinque anni e che ormai sono vicina alla mezza età.” Rise di nuovo, e sospirò. “Beh, qualcuno dovrà pur fare la parte dell’adulto.”

Questo mi chiarì le cose. Potevo vedere ora...come la madre irresponsabile aiutasse a spiegare la maturità di Bella. Aveva dovuto crescere presto, per prendersi cura di tutto.

Ecco perché non sembrava che le importasse, lo sentiva come se fosse il suo lavoro.

“Neanche tu hai tanto l’aria di uno studente del terzo anno,” disse, distraendomi dalle mie fantasticherie.

Feci una smorfia. Per ogni cosa che riuscivo a percepire di lei, lei ne percepiva troppe in cambio. Cambiai discorso.

“Come mai tua madre ha sposato Phil?”

Esitò un minuto prima di rispondere. “Mia madre... si sente più giovane della sua età. Penso che Phil la faccia sentire ancora più giovane. E comunque, è pazza di lui.” Scosse la testa in modo indulgente.

“Approvi?” le chiesi.

“Importa qualcosa?” chiese lei. “Voglio che sia felice...e lui è ciò che desidera.”

L’altruismo del suo commento mi avrebbe impressionato, se non avesse calzato troppo con quello che avevo imparato del suo carattere.

“Mi sembra un atteggiamento come minimo...generoso.”

“Cosa?”

“Pensi che si comporterebbe allo stesso modo con te? Su chiunque cadesse la tua scelta?”

Era una domanda sconsiderata, e non potei mantenere la mia voce disinvolta mentre gliela chiedevo.

Quanto era stupido ritenere che qualcuno potesse mai approvare me per le loro figlie. Quanto era stupido pensare che Bella mi scegliesse.

“P-penso di sì,” balbettò, in qualche modo reagendo al mio sguardo. Paura o...attrazione?

“Ma in fin dei conti la mamma è lei. È un po’ diverso,” terminò.

Sorrisi ironicamente. “Niente ragazzi spaventosi, quindi.”

Ghignò. “Cosa intendi per “spaventosi”? Piercing facciali multipli e tatuaggi dappertutto?”

“Anche...per esempio.” Una definizione davvero poco minacciosa, ai miei occhi.

“E cos’altro, secondo te?”

Chiedeva sempre la cosa sbagliata. O esattamente la domanda giusta, forse.

Quelle a cui non volevo rispondere, ad ogni modo.

“Pensi che io potrei essere spaventoso?” le chiesi, provando un po' a sorridere.

Ci pensò su prima di rispondermi con voce seria. “Hmm...penso che potresti esserlo, se volessi.”

Anche io ero serio. “In questo momento hai paura di me?”

Rispose subito, senza pensarci. “No.”

Sorrisi più facilmente. Non pensavo che mi stesse dicendo tutta la verità, ma non mi stava veramente mentendo. Almeno, non era abbastanza spaventata da andarsene. Mi chiesi come si sarebbe sentita se le avessi detto che stava discutendo con un vampiro. Rabbrividii dentro di me pensando alla sua reazione.

“Adesso mi racconti tu qualcosa della tua famiglia? Senz’altro è una storia molto più interessante della mia.”

Una più terrificante, almeno.

“Cosa vuoi sapere?” chiesi circospetto.

“È vero che i Cullen ti hanno adottato?”

“Sì.”

Esitò, poi parlò con voce ridotta. “Cos’è successo ai tuoi genitori?”

Non era così dura; non avrei dovuto nemmeno mentirle. “Sono morti parecchi anni fa.”

“Mi dispiace,” mormorò, chiaramente preoccupata di avermi ferito.

Lei era preoccupata per me.

“Non ricordo granché di loro,”le assicurai. “Carlisle e Esme sono i miei genitori da parecchio tempo.”

“E gli vuoi bene,”dedusse.

Sorrisi. “Sì. Non potrei immaginare due persone migliori.”

“Sei molto fortunato.”

“Lo so.” In quella circostanza, parlando dei genitori, la mia fortuna non poteva essere negata.

“E i tuoi fratelli?”

Se l’avessi lasciata fare pressione per troppi dettagli, avrei dovuto mentirle. Diedi un’occhiata all’orologio, abbattuto che il mio tempo con lei fosse finito.

“Mio fratello e mia sorella, oltre a Jasper e a Rosalie, si innervosiranno parecchio se gli toccherà aspettarmi sotto la pioggia.”

“Oh, scusa, immagino che tu sia in ritardo.”

Non si mosse. Anche lei non voleva che il nostro tempo terminasse. Questo mi piacque davvero, davvero tanto.

“E immagino che tu rivoglia indietro il tuo pick-up prima che l’ispettore Swan torni a casa, così non dovrai dirgli dell’incidente di biologia.” Sorrisi ricordando il suo imbarazzo fra le mie braccia.

“Di sicuro sa già tutto. A Forks non ci sono segreti.” Disse il nome della città con palese disgusto.

Risi alle sue parole. Niente segreti, sicuramente. “Divertiti alla spiaggia.” Lanciai un’occhiata alla pioggia scrosciante, sapendo che non sarebbe durato, e sperando con più forza del solito che durasse. “C’è il tempo giusto per prendere il sole.” Beh, ci sarebbe stato di Sabato. Le sarebbe piaciuto.

“Domani non ci vediamo?”

La preoccupazione del suo tono mi fece piacere.

“No. Io ed Emmett anticipiamo il weekend.” Adesso ero furioso con me stesso per avere fatto programmi. Avrei potuto disdire...ma non c’era cosa come cacciare troppo a quel punto, e la mia famiglia si stava preoccupando abbastanza del mio comportamento senza che rivelassi loro quanto stessi diventando ossessivo.

“Cosa fate?” chiese, la sua voce non suonava felice dopo la mia rivelazione.

Bene.

“Andiamo a fare trekking nella riserva di Goat Roks, a sud del monte Rainier.”

Emmett era ansioso della stagione degli orsi.

“Oh be’, divertitevi,” disse incerta. La sua mancanza di entusiasmo mi rese ancora felice.

Mentre la guardavo, iniziai a sentirmi quasi agonizzato al pensiero di doverla salutare, seppure momentaneamente. Era così tenera e vulnerabile. Sembrava temerario lasciarla fuori dalla mia vista, dove le sarebbe potuto accadere di tutto. Eppure, la cose peggiori che sarebbero potute accaderle avrebbero dovuto cominciare stando con me.

“Faresti una cosa per me, questo weekend?” le chiesi serio.

Annuì, i suoi occhi spalancati e sconcertati dall’intensità dei miei.

Sii chiaro.

“Non offenderti, ma tu sembri il classico genere di persona che attrae gli incidenti come una calamita. Perciò...cerca di non cadere nell’oceano, di non farti investire, o chissà cos’altro, d’accordo?”

Le sorrisi addolorato, sperando che non potesse vedere la tristezza nei miei occhi. Quanto desideravo che non fosse meglio lontano da me, non importava cosa sarebbe potuto accaderle.

Scappa, Bella, scappa. Ti amo troppo, per il tuo bene o il mio.

Si offese dalla mia provocazione. Mi fissò fredda. “Ci proverò,” disse secca, saltando fuori nella pioggia e sbattendo la porta più forte che poté dietro di lei.

Come un gattino arrabbiato che crede di essere una tigre.

Strinsi la mano sulla chiave che le avevo appena preso dalla tasta della giacca, e sorrisi mentre mi allontanavo guidando.

 

 

– Êîíåö ðàáîòû –

Ýòà òåìà ïðèíàäëåæèò ðàçäåëó:

Dosar medical

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Åñëè Âàì íóæíî äîïîëíèòåëüíûé ìàòåðèàë íà ýòó òåìó, èëè Âû íå íàøëè òî, ÷òî èñêàëè, ðåêîìåíäóåì âîñïîëüçîâàòüñÿ ïîèñêîì ïî íàøåé áàçå ðàáîò: Gruppo Sanguigno

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Åñëè ýòîò ìàòåðèàë îêàçàëñÿ ïîëåçíûì ëÿ Âàñ, Âû ìîæåòå ñîõðàíèòü åãî íà ñâîþ ñòðàíè÷êó â ñîöèàëüíûõ ñåòÿõ:

Âñå òåìû äàííîãî ðàçäåëà:

A prima vista
  Ecco il momento della giornata in cui non desideravo altro che poter dormire. Le ore di scuola. Forse la definizione giusta era “purgatorio”. Ammesso che espiare l

Libro Aperto
  Mi buttai contro la panchina coperta di neve, lasciando che la secca polvere riprendesse forma attorno il mio peso. La mia pelle si era raffreddata come l'aria attorno me, e i picco

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  Io e Bella camminammo silenziosamente verso biologia. In quel momento stavo cercando di concentrarmi su me stesso, sulla ragazza accanto a me, su ciò che era reale e concreto

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