ðåôåðàòû êîíñïåêòû êóðñîâûå äèïëîìíûå ëåêöèè øïîðû

Ðåôåðàò Êóðñîâàÿ Êîíñïåêò

Dosar medical

Dosar medical - ðàçäåë Ìåäèöèíà, A Pri...

A prima vista

Ecco il momento della giornata in cui non desideravo altro che poter dormire. Le ore di scuola. Forse la definizione giusta era “purgatorio”. Ammesso che espiare le mie colpe fosse possibile, quelle ore andavano…

Libro Aperto

Mi buttai contro la panchina coperta di neve, lasciando che la secca polvere riprendesse forma attorno il mio peso. La mia pelle si era raffreddata… Il cielo sopra di me era chiaro, brillante di stelle, luccicante di blu in… altri. Le stelle creavano maestosità, turbinando contro l'universo scuro, una vista meravigliosa.

Fenomeno

In realtà non ero assetato, ma decisi di andare a caccia di nuovo quella notte. Un po' di prevenzione, benché sapessi che era… Carlisle era venuto con me; non eravamo stati insieme da quando ero tornato da… Nella sua memoria, vidi il modo in cui i miei lineamenti si erano distorti in una intensa disperazione. Sentii la sua…

Visioni

Tornai a scuola. Era la cosa giusta da fare, il modo meno appariscente di comportarsi. Verso la fine della giornata, anche quasi tutti gli studenti tornarono a… Non sarebbe stato così difficile per me fare la cosa giusta. Ma, tutto il pomeriggio, strinsi i denti contro…

Inviti

 

Scuola superiore. Non più un purgatorio, era puramente un inferno. Tormento e fuoco... sì, avevo entrambi.

Adesso stavo facendo tutto correttamente. Ogni puntino sulle i, e ogni stanghetta sulle t. Nessuno avrebbe potuto lamentarsi che mi stessi sottraendo dalle mie responsabilità.

Per accontentare Esme e proteggere gli altri, rimasi a Forks. Ritornai al mio vecchio programma. Non andai più a caccia di quanto facessero gli altri. Ogni giorno, frequentavo la scuola e mi comportavo da umano. Ogni giorno, ascoltavo attentamente ogni cosa a proposito dei Cullen, non ci fu mai niente di nuovo. La ragazza non confidò a nessuno i suoi sospetti. Ripeté soltanto sempre la stessa storia ancora e ancora, ero accanto a lei e l'avevo spinta via, fino a che i suoi entusiasti ascoltatori si annoiarono e smisero di chiedere altri dettagli. Non c'era pericolo. La mia azione affrettata non aveva ferito nessuno.

Nessuno tranne me stesso.

Ero determinato a cambiare il futuro. Non era il compito più facile da intraprendere, ma non c'era altra scelta con cui avrei potuto vivere.

Alice aveva detto che non sarei stato abbastanza forte da stare lontano dalla ragazza. Glielo avrei provato.

Pensai che il primo giorno sarebbe stato il più difficile. Dopo la sua fine, fui sicuro che fosse archiviato. Mi ero sbagliato, dunque.

Faceva soffrire sapere che avrei ferito la ragazza. Mi ero rincuorato con il fatto che il suo dolore non sarebbe stato più di un puntura, solo una piccola puntura di rigetto, in confronto al mio. Bella era umana, e sapeva che io ero qualcos'altro, qualcosa di sbagliato, qualcosa di spaventoso. Probabilmente sarebbe stata molto più sollevata che ferita quando avrei voltato il mio viso dall'altra parte e avrei finto che non esistesse.

“Ciao, Edward,” mi salutò, di ritorno al primo giorno a biologia. La sua voce era piacevole, amichevole, a centottanta gradi dall'ultima volta che avevo parlato con lei.

Perché? Cosa significava il cambiamento? Aveva dimenticato? Aveva deciso di aver immaginato l'intero episodio? Probabilmente poteva aver dimenticato di non inseguirmi con la promessa?

Le domande mi bruciavano come ad ogni attacco di sete quando respiravo.

Solo un momento per guardare nei suoi occhi. Solo per vedere se avrei potuto leggervi le risposte.

No. Non permisi a me stesso neanche quello. Non se avevo intenzione di cambiare il futuro.

Mossi il mio mento di un centimetro verso la sua direzione senza distogliere lo sguardo dalla porta della classe. Annuii una volta, e poi tornai il mio viso dritto.

Non parlò più con me.

Quel pomeriggio, appena fini la scuola, il mio ruolo recitato, corsi verso Seattle come avevo fatto il giorno prima. Sembrava che potevo leggermente sopportare il dolore quando volavo sul terreno, trasformando tutt'intorno a me in un verde sfocato.

Questa corsa divenne una mia abitudine giornaliera.

La amavo? Non credevo. Non ancora. Le momentanee visioni del futuro di Alice erano confuse, comunque, e potevo vedere come sarebbe stato facile innamorarmi di Bella. Sarebbe stato esattamente come cadere: senza sforzo. Non lasciare che mi innamorassi di lei era l'opposto di cadere, era come arrampicarmi sul versante di una collina, appiglio dopo appiglio, il compito era tanto faticoso come se non avessi avuto nient'altro che una forza mortale.

Era passato più di un mese, e ogni giorno era più difficile. Non aveva senso per me, continuai ad aspettare che finisse, che diventasse più semplice. Questo doveva essere ciò che voleva dire Alice quando aveva predetto che non sarei stato capace di stare lontano dalla ragazza. Aveva visto l'intensificarsi del dolore. Ma potevo sopportare il dolore.

Non avrei distrutto il futuro di Bella. Se ero destinato ad amarla, allora evitarla non era il minimo che potessi fare?

Evitarla era il limite di quello che potevo sopportare, comunque. Potevo fingere di ignorarla, e non rivolgerle mai uno sguardo. Potevo fingere che non mi fosse interessante. Ma questo era il massimo, solo finzioni e non realtà.

Mi attaccavo ad ogni respiro che prendeva, ad ogni parola che pronunciava.

Accumulai i miei tormenti in quattro categorie.

La prima era familiare. Il suo odore e il suo silenzio. O, piuttosto, prendendomi le responsabilità che mi appartenevano, la mia sete e la mia curiosità.

La sete era il principale tormento. Adesso era semplice abitudine non respirare per nulla a biologia. Certo, c'erano sempre le eccezioni, quando dovevo rispondere ad una domanda o qualcosa del genere, e avevo bisogno del mio respiro per parlare. Ogni volta che gustavo l'aria attorno a lei, era come il primo giorno, fuoco e bisogno e brutale violenta disperazione di liberarmi. In quei momenti era difficile appigliarsi leggermente alla ragione o al controllo. E, proprio come il primo giorno, il mostro dentro di me ruggiva, così vicino alla superficie...

La curiosità era il più costante dei tormenti. La domanda non si allontanava mai dalla mia mente: che cosa sta pensando adesso? Quando la sentivo sospirare silenziosamente. Quando assente si avvolgeva una ciocca di capelli tra le dita. Quando poggiava i suoi libri con più forza del solito. Quando correva in classe in ritardo. Quando batteva impaziente il piede contro il pavimento. Ogni movimento catturato dalla mia vista periferica era un folle mistero. Quando parlava con gli altri studenti, analizzavo ogni parola e tono. Stava parlando dei suoi pensieri, o di quello che pensava avrebbe dovuto dire? Spesso mi sembrava che cercasse di dire quello che il suo pubblico si aspettava, e questo mi ricordò la mia famiglia e la nostra giornaliera vita di illusioni, eravamo migliori di lei nel farlo. A meno che non mi stessi sbagliando, soltanto immaginando le cose. Perché avrebbe dovuto recitare una parte? Era una di loro, un'adolescente umana.

Mike Newton era uno dei tormenti più strani. Chi avrebbe mai sognato che un tanto banale, noioso mortale sarebbe stato così esasperante? Per essere corretto, avrei dovuto sentire un po' di gratitudine verso quell'irritante ragazzo; la faceva parlare molto più degli altri. Imparai tanto su di lei attraverso quelle conversazioni, stavo ancora compilando la mia lista, ma, contrariamente, l'assistenza di Mike a questo progetto mi scocciava. Non volevo che fosse Mike quello a svelare i suoi segreti, volevo farlo io.

Aiutò il fatto che non notava mai le sue piccole rivelazioni, gli errori delle sue labbra. Non sapeva niente di lei. Aveva creato una Bella nella sua mente che non esisteva, una ragazza banale come lui. Non aveva osservato l'altruismo e il coraggio che la distinguevano dagli altri umani, non aveva sentito l'anormale maturità dei suoi pensieri pronunciati. Non aveva percepito che quando parlava di sua madre, suonava come un genitore che parlasse dei figli e non il contrario, amorevole, indulgente, leggermente divertita, e intensamente protettiva. Non sentiva la pazienza nella sua voce quando fingeva interesse per sue divaganti storie, e non indovinava la sua gentilezza dietro quella pazienza.

Attraverso le sue conversazioni con Mike, ero capace di aggiungere le più importanti qualità alla mia lista, le più rivelanti, semplici come rare. Bella era buona. Tutte altre cose che si aggiungevano al totale, gentile e nessuna considerazione di se stessa e generosa e amorevole e coraggiosa.

Queste utili scoperte comunque non mi resero cordiale con il ragazzo. Il modo possessivo in cui vedeva Bella, come se fosse un acquisto da fare, mi provocava quasi quanto le sue rozze fantasie su di lei. Stavano anche diventando molto più intimi, col passare del tempo, da sembrare che lo preferisse agli altri suoi rivali, Tyler Crowley, Eric Yorkie e anche io, sporadicamente. Si sedeva abitualmente accanto a lei al nostro tavolo prima che iniziasse la lezione, chiacchierando, incoraggiato dai suoi sorrisi. Soltanto sorrisi educati, mi dicevo. Allo stesso tempo, mi divertivo di frequente a immaginarmi di mollargli un manrovescio che lo facesse attraversare la stanza e cadere contro il muro più lontano... Probabilmente lo avrebbe fatalmente ferito...

Mike non pensava spesso a me come rivale. Dopo l'incidente, si era preoccupato che Bella ed io avessimo potuto essere legati da quell'esperienza, ma ovviamente il risultato era stato il contrario. Prima di allora, era stato disturbato che avessi individuato Bella tra i suoi coetanei per salvarla. Ma poi l'avevo ignorata proprio come gli altri, ed era diventato più soddisfatto.

Cosa stava pensando adesso? Avrebbe accettato la sue attenzioni?

E, infine, l'ultimo dei miei tormenti, il più doloroso: l'indifferenza di Bella. Mentre la ignoravo, lei mi ignorava. Non cercava mai di parlare con me. Per tutto quello che sapevo, non aveva mai pensato a me.

Avrebbe potuto farmi diventare pazzo, o magari rompere la mia risoluzione a cambiare il futuro, eccetto che qualche volta mi fissava come faceva prima. Non lo vidi da me, non potevo permettermi di guardarla, ma Alice ci avvisava sempre quando stava per fissarci; gli altri ancora cauti verso la problematica conoscenza della ragazza.

Il fatto che di quando in quando mi osservasse a distanza alleviava il dolore. Certo, poteva star solo pensando che fossi pazzo.

“Bella fisserà Edward tra un minuto. Apparite normali,” disse Alice un Martedì di Marzo, e gli altri furono attenti ad agitarsi e a spostare il loro peso come gli umani; l'assoluta immobilità era la caratteristica della nostra specie.

Non prestavo attenzione a quanto spesso guardava nella mia direzione. Mi faceva piacere, sebbene non avrebbe dovuto, che la frequenza non diminuiva con il passare del tempo. Non sapevo cosa significasse, però mi faceva sentire meglio.

Alice sospirò. Spero...

“Stanne fuori, Alice,” dissi sotto il mio respiro. “Non accadrà nulla.”

Mise il broncio. Alice era ansiosa di formare la sua già prevista amicizia con Bella. Stranamente, le mancava la ragazza che ancora non conosceva.

Lo ammetto, sei migliore di quanto pensassi. Hai reso di nuovo il futuro intrecciato e senza senso. Spero tu sia felice.

“Ha molto senso per me.”

Sbuffò delicatamente.

Cercai di metterla a tacere, troppo impaziente per conversare. Non ero molto di buon umore, più teso di quanto volessi lasciargli immaginare. Soltanto Jasper era consapevole di come fossi ermeticamente ferito, sentendo la tensione emanare con la sua unica abilità di provare e influenzare l'umore altrui. Non capiva le ragioni dietro al mio stato d'animo, comunque, dato che ero costantemente mal disposto in questi giorni, e lo ignorava.

Oggi sarebbe stato un giorno difficile. Più difficile dei giorni precedenti, come era tipico.

Mike Newton, l'odioso ragazzo che non potevo permettere a me stesso di rivaleggiare, aveva intenzione di chiedere a Bella un appuntamento.

La scelta del ballo della ragazza era un orizzonte vicino, e aveva davvero sperato che Bella glielo chiedesse. Visto che non lo aveva fatto la sua sicurezza era vacillata. Adesso era in un guaio sgradevole, mi divertii del suo disagio più di quanto avrei dovuto, perché Jessica Stanley lo aveva invitato al ballo. Non voleva rispondere “sì”, ancora speranzoso che Bella lo avrebbe scelto (e dimostrato la sua vittoria sugli altri rivali), però non voleva rispondere “no” e perdersi del tutto il ballo. Jessica, ferita dalla sua esitazione e indovinando il motivo, stava pensando di pugnalare Bella. Di nuovo, ebbi l'istinto di mettermi in mezzo tra gli arrabbiati pensieri di Jessica e Bella. Adesso conoscevo meglio l'istinto, però rese più frustrante il non poterlo fare.

A pensare di essere arrivato a questo! Mi ero completamente adattato ai meschini drammi di scuola superiore che una volta avevo così disprezzato.

Mike stava diventando nervoso mentre accompagnava Bella a biologia. Ascoltai i suoi tormenti mentre aspettavo che arrivassero. Il ragazzo era un debole. Aveva aspettato di proposito per questo ballo, spaventato dal far diventare nota la sua infatuazione prima che lei avesse mostrato una precisa preferenza per lui. Non voleva rendersi vulnerabile al rifiuto, preferendo che fosse lei a farsi avanti per prima.

Codardo.

Era seduto di nuovo al nostro tavolo, a proprio agio per la lunga intimità, e immaginai il suono che avrebbe fatto il suo corpo se avesse colpito il muro opposto con abbastanza forza da rompersi parecchie ossa.

“Insomma,” disse alla ragazza, gli occhi a terra. “Jessica mi ha invitato al ballo di primavera.”

“Grande,” rispose subito Bella con entusiasmo. Era difficile non sorridere mentre il suo tono affondava nella comprensione di Mike. Aveva sperato nello sgomento. “Te la spasserai davvero, con lei.”

Arraffò una risposta giusta. “Beh...,” esitò, e quasi ci rinunciò. Poi si raccolse. “Le ho detto che volevo pensarci.”

“E perché l'avresti fatto?” chiese. Il suo era un tono di disapprovazione, ma c'era una leggera traccia di sollievo.

Cosa voleva dire? Un'insospettata, intensa furia mi fece stringere i pugni.

Mike non sembrava aver sentito il sollievo. Il suo viso era rosso per il sangue, violento mentre improvvisamente lo avvertivo, sembrava come un invito, e guardò di nuovo a terra mentre parlava.

“Mi chiedevo se... beh, non avessi intenzione di invitarmi tu.”

Bella esitò.

In quel momento di esitazione, vidi il futuro molto più chiaramente di quanto Alice avesse mai fatto.

La ragazza adesso avrebbe potuto rispondere sì all'inespressa domanda di Mike, e avrebbe potuto non farlo, ma comunque, un giorno o l'altro, avrebbe risposto di sì a qualcuno. Era amorevole e intrigante e i ragazzi umani non erano incuranti di questo fatto. Se si fosse decisa per qualcuno in questa noiosa folla, o aspettato che fosse libera da Forks, il giorno in cui avrebbe detto sì sarebbe arrivato.

Vidi la sua vita come avevo fatto prima, college, carriera... amore, matrimonio. La vidi di nuovo a braccetto col padre, vestita di un bianco diafano, il suo viso rosso di felicità mentre si muoveva al suono della marcia nuziale.

Il dolore fu qualcosa che non avevo mai sentito prima. Un umano sarebbe arrivato in punto di morte a sentire questo dolore, un umano non sarebbe sopravvissuto.

E non solo dolore, ma una completa rabbia.

La furia faceva male come un qualche tipo di attacco fisico. Nonostante questo insignificante, inutile ragazzo poteva non essere quello a cui Bella avrebbe detto sì, desiderai ardentemente schiacciare il suo cranio tra le mie mani, lasciandolo come esempio per chi altri sarebbe stato.

Non capivo quest'emozione, era un groviglio di dolore e rabbia e desiderio e disperazione. Non lo avevo mai sentito prima; non riuscivo a dargli un nome.

“Mike, credo che dovresti accettare l'invito di Jessica,” disse Bella con voce gentile.

Le speranze di Mike precipitarono. In un'altra circostanza mi sarei divertito, ma ero perso nella scossa di assestamento del dolore, e il rimorso per ciò che il dolore e la rabbia mi avevano fatto.

Alice aveva ragione. Non ero forte abbastanza.

Proprio ora Alice avrebbe visto il futuro girare e contorcersi, diventando di nuovo lacerato. L'avrebbe soddisfatta?

“L'hai già chiesto a qualcuno?” chiese in modo arcigno Mike. Mi lanciò un'occhiataccia, sospettoso per la prima volta da settimane. Realizzai che avevo tradito il mio interesse; la mia testa era inclinata verso la direzione di Bella.

La selvaggia invidia nei suoi pensieri, invidia per colui che la ragazza aveva preferito, improvvisamente diede un nome alle mie anonime emozioni.

Ero geloso.

“No,” disse la ragazza con una traccia di umorismo nella voce. “Non ci vengo al ballo.”

Attraverso il rimorso e la rabbia, sentii sollievo alle sue parole. Improvvisamente, stavo considerando i miei rivali.

“Perché no?” chiese Mike, il suo tono rude. Mi offese che usasse quel tono con lei. Trattenni un ringhio.

“Quel sabato vado a Seattle,” rispose.

La curiosità non fu crudele come lo era stata prima, adesso che avevo davvero intenzione di scoprire ogni risposta. Avrei saputo il dove e i perché di questa nuova rivelazione abbastanza presto.

Il tono di Mike era spiacevolmente adulante. “Non puoi rimandare ad un altro fine settimana?”

“No, mi dispiace.” Bella era brusca adesso. “Perciò non fare aspettare Jess: è scortese.”

La sua preoccupazione per i sentimenti di Jessica diede un colpo di vento alla mia gelosia. Questo viaggio a Seattle era chiaramente una scusa per dire di no, lo aveva rifiutato soltanto per lealtà alla sua amica? Era abbastanza altruista per farlo. In realtà avrebbe sperato di poter rispondere sì? O entrambe le ipotesi erano sbagliate? Era interessata a qualcun altro?

“Va bene, hai ragione,” mormorò Mike, così demoralizzato che sentii quasi pietà per lui. Quasi.

Abbassò gli occhi dalla ragazza, togliendomi la vista del suo volto dai suoi pensieri.

Non avevo intenzione di tollerarlo.

Mi girai per leggere il suo viso, per la prima volta da più di un mese. Fu un acuto sollievo permettermelo, come un respiro d'aria di polmoni immersi a lungo nell'acqua.

I suoi occhi erano chiusi, le sue mani premute contro il lato del suo viso. Le sue spalle curvate indentro in difesa. Scosse la testa così leggermente, come se stesse provando a scacciar via qualche pensiero dalla sua mente.

Frustrante. Affascinante.

La voce di Mr. Banner la riportò indietro dalla sua fantasticheria, i suoi occhi si aprirono lentamente. Mi guardò all'improvviso, forse sentendo il mio sguardo. Mi fissò negli occhi con la stessa confusa espressione che mi aveva dato la caccia tanto a lungo.

Non sentii il rimorso o il senso di colpa o la rabbia in quel secondo. Sapevo che sarebbero ritornati, e presto anche, ma per quell'unico momento galleggiai ad una strana e nervosa altezza. Come se avessi trionfato, piuttosto che perso.

Non allontanò lo sguardo, nonostante la stessi fissando con un'intensità inappropriata, cercando vanamente di leggere i suoi pensieri attraverso i liquidi occhi castani. Erano pieni di domande, piuttosto che di risposte.

Potei vedere il riflesso dei miei occhi, e vidi che erano neri di sete. Erano passate due settimane dalla mia ultima caccia; non era il giorno più adatto per far cedere la mia volontà. Ma il nero non sembrò spaventarla. Non distolse lo sguardo, e un soffice, attraente rosa le colorò le guance.

Cosa stava pensando adesso?

Stavo quasi per fare la domanda ad alta voce, ma in quel momento Mr. Banner chiamò il mio nome. Colsi la risposta corretta dalla sua mente mentre guardavo brevemente verso la sua direzione.

Presi un breve respiro. “Il ciclo di Kerbs.”

La sete mi bruciò la gola, stringendo i miei muscoli e riempiendo la mia bocca di veleno, e chiusi gli occhi, provando a concentrarmi attraverso il desiderio che il suo odore aveva infuriato dentro di me.

Il mostro era più forte di prima. Il mostro stava esultando. Abbracciò questo duplice destino che gli aveva dato un regolare cinquanta per cento di possibilità per quello che desiderava così malignamente. Il terzo, scosso futuro che avevo cercato di costruire attraverso la forza di volontà era crollato, distrutto dalla comune gelosia, tra tutte le cose; e si avvicinò molto più alla sua meta.

Il rimorso e la colpa bruciarono con la sete, e, se avessi avuto la capacità di produrre lacrime, a quest'ora avrebbero riempito i miei occhi.

Cosa avevo fatto?

Sapendo che la battaglia era già persa, non sembrava esserci alcuna ragione per resistere a ciò che volevo; girarmi a fissare di nuovo la ragazza.

Era nascosta dai suoi capelli, ma potevo vedere attraverso le ciocche che le sue guance erano ancora cremisi.

Al mostro piacque.

Non incontrò di nuovo il mio sguardo, ma si attorcigliò nervosamente una ciocca dei suoi scuri capelli tra le dita. Le sue delicate dita, il suo fragile polso, erano così distruttibili, avrei potuto spezzarli soltanto con il mio respiro.

No, no, no. Non avrei potuto farlo. Era troppo delicata, troppo buona, troppo preziosa per meritare questo destino. Non avrei permesso che la mia vita si scontrasse con la sua, distruggendola.

Ma non potevo neanche starle lontano. Alice aveva ragione.

Il mostro dentro di me sibilò con frustrazione mentre esitavo, la partenza al primo posto, piuttosto che le altre.

La mia breve ora con lei passò troppo velocemente, mentre vacillavo tra le due posizioni. La campanelle suonò, ed iniziò a raccogliere le sue cose senza guardarmi. Questo mi deluse, ma difficilmente avrei potuto aspettarmi qualcosa di diverso. Il modo in cui l'avevo trattata dall'incidente era imperdonabile.

“Bella?” dissi, incapace di fermarmi. La mia forza di volontà giaceva a brandelli.

Esitò prima di guardarmi; poi si voltò, la sua espressione era cauta e diffidente.

Mi ricordai che aveva tutte le ragioni a diffidare. Doveva averlo ricordato anche lei.

Aspettò che continuassi, ma rimasi a fissarla, leggendo il suo viso. Sorseggiai leggere boccate d'aria a regolari intervalli, combattendo la mia sete.

“Cosa?” disse infine. “Hai deciso di rivolgermi la parola?” C'era un filo di risentimento nel suo tono che, come la sua rabbia, era accattivante. Mi fece sorridere.

Non ero sicuro di cosa risponderle. Le stavo di nuovo rivolgendo la parola, nel senso in cui lei intendeva?

No. Non se avessi potuto evitarlo. Avrei cercato di evitarlo.

“No, non proprio,” le dissi.

Chiuse gli occhi, il che mi frustrò. Mi aveva tolto la migliore strada d'accesso ai suoi sentimenti. Prese un lungo, lento respiro senza aprirli. La sua mascella stretta.

Con gli occhi ancora chiusi, parlò. Di sicuro non era un normale modo umano di conversare. Perché lo faceva?

“E allora, Edward, che vuoi?”

Il suono del mio nome sulle sue labbra provocò strane cose al mio corpo. Se avessi avuto il battito cardiaco, sarebbe accelerato.

Ma in che modo risponderle?

Con la verità, decisi. Sarei stato sincero come potevo, da adesso in poi. Non volevo meritare la sua diffidenza, anche se ottenere la sua fiducia era impossibile.

“Mi dispiace,” le dissi. Era la cosa più vera che avrebbe mai saputo. Sfortunatamente, potevo solo scusarmi con sincerità per la cosa più insignificante. “Sono molto maleducato, lo so. Ma è meglio così, davvero.”

Sarebbe stato meglio per lei se avessi continuato ad essere maleducato. Potevo?

I suoi occhi si aprirono, la sua espressione ancora circospetta.

“Non capisco che vuoi dire.”

Cercai di avvertirla. “E' meglio se non diventiamo amici.” Di sicuro, avrebbe potuto avvertirlo. Era una ragazza sveglia. “Fidati.”

I suoi occhi si strinsero, e ricordai che le avevo già detto quelle parole prima, proprio prima di rompere una promessa. Indietreggiai quando i suoi denti si strinsero, chiaramente ricordava anche lei.

“Peccato che tu non te ne sia reso conto prima,” disse arrabbiata. “Non avresti avuto nulla di cui rimproverarti.”

La fissai colpito. Cosa ne sapeva dei miei rimorsi?

“Recriminarmi?” chiesi.

“Di non aver lasciato semplicemente che quello stupido furgone mi spiaccicasse!” sbottò.

Rimasi di ghiaccio, incredulo.

Come poteva pensarlo? Salvarle la vita era l'unica cosa accettabile che avevo fatto da quando l'avevo incontrata. L'unica cosa di cui non mi vergognavo. L'unica e sola cosa che mi rendeva grato della mia esistenza. Avevo combattuta per tenerla in vita sin dal primo momento che avevo catturato il suo odore. Come poteva pensare questo di me? Come si permetteva di mettere di discussione l'unica buona azione in tutto questo casino?

“Vuoi dire che pensi mi sia pentito di averti salvato la vita?”

“Non penso. Lo so,” replicò.

Il suo giudizio su di me mi fece ribollire. “Tu non sai niente.”

Com'erano confusi e incomprensibili i congegni della sua mente! Non doveva pensare nello stesso modo degli altri umani. Doveva esserci una spiegazione dietro il silenzio della sua mente. Era completamente differente.

Scosse via il suo viso, stringendo di nuovo i denti. Le sue guance arrossirono, di rabbia questa volta. Sbatté i suoi libri in pila, strattonandoli tra le sue braccia, e marciando verso la porta senza incontrare il mio sguardo.

Anche irritato com'ero, era impossibile non trovare la sua rabbia un po' divertente.

Camminò rigidamente, senza guardare a dove stava andando, e inciampò al bordo della porta. Incespicò, e tutte le sue cose si sparsero sul pavimento. Invece di raccoglierli, rimase rigida e dritta, senza guardare in giù, come se non fosse sicura che i libri meritassero di essere recuperati.

Mi trattenni dal ridere.

Nessuno era lì per guardarmi; volteggiai al suo fianco, e avevo i suoi libri in ordine prima che potesse guardare in basso.

Si piegò leggermente, mi vide e poi s'immobilizzò. Le porsi i libri, assicurandomi che non toccasse la mia pelle fredda.

“Grazie,” disse con voce fredda e severa.

Il suo tono riportò l'irritazione.

“Prego,” dissi con la stessa freddezza.

Si mise dritta e calpestando si avviò alla prossima lezione.

La fissai finché non riuscii più a vedere la sua figura arrabbiata.

Spagnolo passò in un soffio. Mrs. Goff non mi richiamò mai per la mia distrazione, sapeva che il mio Spagnolo era superiore al suo, e mi diede grande tolleranza, lasciandomi libero di pensare.

Quindi, non potevo ignorare la ragazza. Era molto ovvio. Ma voleva significare che non avevo altra scelta che distruggerla? Non poteva essere l'unico futuro disponibile. Avrebbe dovuto esserci un'altra scelta, un delicato contrappeso. Provai a pensare ad un modo...

Non prestai molta attenzione ad Emmett finché non si avvicinò la fine dell'ora. Era curioso, Emmett non era eccessivamente intuitivo sulle diverse sfumature degli umori altrui, ma poteva vedere l'evidente cambiamento. Pensò a cosa era potuto succedere per rimuovere quell'ostinato sguardo torvo dal mio viso. Lottò per capire quale fosse lo scambio, e infine decise che sembravo speranzoso.

Speranzoso? Era così che apparivo dall'esterno?

Riflettei sull'idea della speranza mentre camminavamo verso la Volvo, pensando a cosa avevo fatto di preciso per essere speranzoso.

Ma non dovetti rifletterci a lungo. Sensibile com'ero ai pensieri verso la ragazza, il suono del nome di Bella nelle menti dei... dei miei rivali, supponevo di doverlo ammettere, catturarono la mia attenzione. Eric e Tyler, in testa, con molta soddisfazione, il fallimento di Mike, si stavano preparando a fare la loro mossa.

Eric era già sul posto, posizionato contro il suo pick up dove non avrebbe potuto evitarlo. La lezione di Tyler si stava trattenendo più tardi per l'assegnazione di un compito, ed era in disperata fretta di raggiungerla prima che scappasse.

Questo dovevo vederlo.

“Aspetta gli altri qui, va bene?” mormorai ad Emmett.

Mi lanciò uno sguardo sospettoso, ma poi scrollò le spalle e annuì.

Il ragazzo ha perso la testa, pensò, divertito dalla mia strana richiesta.

Vidi Bella che si allontanava dalla palestra, e aspettai dove non avrebbe potuto vedermi per lasciarla passare. Mentre si avvicinava all'imboscata di Eric, mi avviai, sistemando il mio passo così da camminare davanti al momento giusto.

Vidi il suo corpo irrigidirsi quando catturò la vista del ragazzo ad aspettarla. S'immobilizzò per un momento, poi si rilassò e si mosse in avanti.

“Ciao, Eric,” le sentì dire in tono amichevole.

Ero improvvisamente e inaspettatamente ansioso. E se fosse stato questo ragazzo dalla pelle poco sana a piacerle?

Eric inghiottì rumorosamente, il suo pomo d'Adamo sobbalzante. “Ciao, Bella.”

Appariva ignara del suo nervosismo.

“Come va?” chiese, aprendo il pick up senza guardare alla sua espressione terrorizzata.

“Ehm, mi chiedevo se... verresti con me al ballo di primavera?” La sua voce si spezzò.

Infine alzò lo sguardo. Era sorpresa, o compiaciuta? Eric non riuscì ad incontrare il suo sguardo, così io non potei osservare il suo viso nella sua mente.

“Mi sembrava che secondo tradizione gli inviti spettassero alle ragazze,” disse, suonando turbata.

“Beh, sì,” ammise in modo infelice.

Questo ragazzo pietoso non m'irritava quando Mike Newton, ma non riuscivo a provare simpatia per la sua angoscia dopo che Bella gli aveva risposto in tono gentile.

“Grazie per avermelo chiesto, ma purtroppo quel sabato sarò a Seattle.”

L'aveva già sentito; era ancora una delusione.

“Ah,” mormorò, permettendosi a mala pena di sollevare gli occhi al livello del suo naso. “Allora magari la prossima volta.”

“Certo,” concordò. Poi si morse il labbro inferiore, come pentendosi di avergli lasciato una via d'uscita. Mi piacque.

Eric crollò indietro e si allontanò, dirigendosi dalla parte opposta della sua macchina, la sua unica fuga.

La superai in quel momento, e la sentii sospirare di sollievo. Risi.

Lei si girò al suono, ma io fissai davanti, cercando di trattenere le mia labbra dal piegarsi per il divertimento.

Tyler era dietro di me, quasi correndo nella sua fretta di raggiungerla prima che potesse andare via. Era più baldanzoso e sicuro degli altri due; aveva aspettato così tanto per avvicinarsi a Bella solo perché rispettava il diritto di Mike.

Volevo che la raggiungesse per due motivi. Se, come avevo iniziato a sospettare, tutte queste attenzione stavano irritando Bella, volevo divertirmi a osservare le sue reazioni. Ma, se non era così, se l'invito di Tyler era quello che lei sperava, lo volevo anche sapere.

Valutai Tyler Crowley come rivale, sapendo che era sbagliato da fare. Mi sembrava tediosamente comune e irrilevante, ma cosa ne sapevo delle preferenze di Bella? Forse le piacevano i ragazzi comuni...

Sobbalzai a quel pensiero. Non sarei mai potuto essere un ragazzo comune. Com'era stupido impostarmi come un rivale per i suoi sentimenti. Come avrebbe mai potuto avere premura di qualcuno che era, ad ogni giudizio, un mostro?

Lei era troppo buona per un mostro.

Dovevo lasciarla scappare, ma la mia inspiegabile curiosità mi trattenne dal fare la cosa giusta.

Ancora. Ma se Tyler avesse perso adesso la sua occasione, l'avrebbe contattata più tardi quando non avrei avuto modo di sapere il risultato? Spinsi la mia Volvo fuori dall'angusto parcheggio, bloccandole l'uscita.

Emmett e gli altri erano per strada, ma lui aveva descritto il mio strano comportamento agli altri, e stavano camminando piano, guardandomi, cercando di decifrare cosa stessi facendo.

Osservai la ragazza dal mio specchietto retrovisore. Lanciò un'occhiata torva al retro della mia macchina senza incontrare il mio sguardo, come se stesse sperando di guidare un carro armato piuttosto che un'arrugginita Chevy.

Tyler corse alla sua macchina e si mise in fila dietro di lei, grato per il mio inspiegabile comportamento. Si agitò, cercando di attirare la sua attenzione, ma lei non lo notò. Aspettò per un momento, poi lasciò la sua macchina, camminando verso il finestrino del passeggero. Picchiettò sul vetro.

Lei sobbalzò, e poi lo fissò confusa. Dopo un secondo, abbassò il finestrino manualmente, sembrava aver problemi.

“Scusa Tyler,” disse, la sua voce irritata. “Sono bloccata dietro Cullen.”

Disse il mio cognome con tono aspro, era ancora arrabbiata con me.

“Oh sì, ho visto,” disse Tyler, non scoraggiato dal suo umore. “Volevo soltanto chiederti una cosa, mentre siamo fermi qui.”

Fece un sorriso impudente.

Fui gratificato dal fatto che fosse impallidita al suo evidente scopo.

“Mi inviteresti al ballo di primavera?” chiese lui, nessun pensiero di fallimento nella sua mente.

“Sarò fuori città, Tyler,” gli disse, l'irritazione chiara nella sua voce.

“Già, me l'ha detto Mike.”

“Ma allora...” iniziò a chiedere.

Fece spallucce. “Speravo fosse un modo carino di rifiutare il suo invito.”

I suoi occhi brillarono, poi divennero gelidi. “Spiacente, Tyler,” disse, non suonando del tutto dispiaciuta. “Sarò davvero fuori città.”

L'accettò come scusa, la sua sicurezza intaccata. “Non c'è problema. Rimandiamo al ballo di fine anno.”

Puntò verso la sua macchina.

Avevo fatto bene ad aspettare.

L'orrore nella sua espressione non aveva prezzo. Mi disse che non avrei dovuto avere così disperato bisogno di sapere, che non aveva nessun sentimento per quegli umani che speravano di corteggiarla.

Inoltre, la sua espressione era la cosa più divertente che avessi mai visto.

Poi arrivò la mia famiglia, confusa dal fatto che, in cambio, stessi gongolando con un sorriso piuttosto che con un cipiglio assassino.

Cosa c'è di così divertente? voleva sapere Emmett.

Appena scossi la testa mi uscì una fresca risata mentre Bella riavviava furiosa il motore rumoroso. Sembrava che stesse di nuovo sperando nel carro armato.

“Andiamo!” sibilò Rosalie impaziente. “Smettila di fare l'idiota. Se ci riesci.”

Le sue parole non m'irritarono, era troppo divertente. Ma feci come aveva chiesto.

Nessuno mi rivolse la parola sulla via di casa. Continuai a ridacchiare ancora e ancora, pensando alla faccia di Bella.

Mentre giravo verso la strada, accelerando adesso che non c'erano testimoni, Alice rovinò il mio umore.

“Allora adesso posso parlare con Bella?” chiese all'improvviso, senza considerare le parole di prima, perciò senza avvisarmi.

“No,” sbottai.

“Non è giusto! Cosa devo aspettare?”

“Non ho ancora deciso nulla, Alice.”

“Qualsiasi cosa, Edward.”

Nella sua mente, i due destini di Bella divennero di nuovo chiari.

“Che senso ha conoscerla?” mormorai, improvvisamente immusonito. “Se poi devo ucciderla?”

Alice esitò per un secondo. “Ha senso,” ammise.

Presi la curva finale a novanta all'ora, e poi mi frenai ad un centimetro dal muro di fondo del garage.

“Divertiti nella tua corsa,” disse Rosalie compiaciuta mentre mi lanciavo fuori dalla macchina.

Ma non avrei corso oggi. Al contrario, sarei andato a caccia.

Gli altri avevano programmato di cacciare domani, ma adesso non potevo sopportare la sete. Esagerai, bevendo più del necessario, saziandomi ancora, un piccolo branco di alci e un orso nero che vi inciampò a fortuna. Ero così pieno da sentirmi a disagio. Perché non avrebbe potuto essere abbastanza? Perché il suo odore doveva essere più forte di qualsiasi altra cosa?

Cacciai per prepararmi al giorno dopo, ma, quando smisi e il sole era ancora lontano di ore ed ore dal sorgere, seppi che il giorno successivo non era vicino abbastanza.

Un grande nervosismo mi passò attraverso di nuovo quando mi resi conto che avevo intenzione di andare a trovare la ragazza.

Lottai con me stesso lungo la strada per Forks, ma il mio lato meno nobile vinse il duello, e andai avanti con il mio insostenibile piano. Il mostro era inquieto e ben incatenato. Sapevo che mi sarei mantenuto ad una sana distanza. Volevo soltanto sapere dove stava. Volevo solo vedere il suo viso.

Era mezzanotte passata, e la casa di Bella era buia e silenziosa. Il suo pick up parcheggiato contro il bordo, l'automobile della polizia del padre nel vialetto. Non c'erano pensieri coscienti nelle vicinanze. Osservai la casa per un momento dall'oscurità della foresta che circondava il lato est. La porta di fronte probabilmente era chiusa, nessun problema, eccetto che non volevo lasciare una porta rotta dietro di me come prova. Decisi di provare prima con le finestre. Nessuno si sarebbe preoccupato di installarvi un blocco.

Attraversai il prato e scalai la facciata della casa in mezzo secondo.

Penzolando con una mano dal cornicione sopra la finestra, guardai attraverso il vetro, e mi si fermò il respiro.

Era nella sua stanza. Potevo vederla nel piccolo letto, le sue coperte sul pavimento e le lenzuola attorcigliate tra le gambe. Mentre la osservavo, si girò irrequieta e spostò un braccio sulla sua testa. Non dormiva bene, almeno non questa notte. Sentiva il pericolo vicino a lei?

Mi disgustai di me stesso mentre la guardavo dimenarsi ancora. Ero migliore di un malato spione? Non ero meglio. Ero molto, molto peggio.

Rilassai le dita, sul punto di lasciarmi scivolare. Ma prima mi permisi un'altra lunga occhiata al suo viso.

Non era calmo. Vi era una piccola ruga tra le sopracciglia, gli angoli della sua bocca piegati all'ingiù. Le sue labbra tremarono, e poi si socchiusero.

“Okay, mamma,” mormorò.

Bella parlava nel sonno.

La curiosità m'infiammò, vincendo il disgusto da me stesso. Il richiamo di quegli indifesi, inconsci pensieri pronunciati era impossibilmente allettante.

Cercai la finestra, e non era bloccata, sebbene inceppata dal lungo disuso. La tirai da un lato lentamente, rannicchiandomi ad ogni leggero mormorio della cornice di metallo. Avrei dovuto portare un po' di olio la prossima volta...

La prossima volta? Scossi la testa, di nuovo disgustato.

Mi lanciai silenziosamente attraverso la finestra semi aperta.

La stanza era piccola, disordinata ma non sporca. Accanto al letto c'erano libri impilati sul pavimento, il loro dorso lontano da me, e CD disseminati vicino l'economico lettore, quello in cima era chiaramente un porta CD. Cataste di carte circondavano un computer che sembrava appartenere ad un museo dedicato alle tecnologie obsolete. Scarpe punteggiavano il pavimento di legno.

Volevo tanto leggere i titoli dei suoi libri e CD, ma mi ero promesso che avrei mantenuto le distanze; quindi andai a sedermi su una vecchia sedia nell'angolo più lontano della stanza.

L'avevo mai considerata come una ragazza comune? Pensai a quel primo giorno, e al mio disgusto per quei ragazzi che l'avevano trovato subito intrigante. Ma quando adesso ricordai il suo viso nelle loro menti, non riuscii a capire perché non l'avessi trovata immediatamente bellissima. Sembrava una cosa ovvia.

Proprio adesso, con i capelli scuri arruffati e selvaggi attorno al suo pallido viso, indossava una maglietta consunta piena di buchi con una tuta trasandata, i suoi lineamenti rilassati nell'incoscienza, le sue labbra piene socchiuse, mi tolse il respiro. O lo avrebbe fatto, pensai cautamente, se avessi respirato.

Non parlò. Forse il suo sogno era finito.

Fissai il suo volto e cercai di pensare a qualche modo per rendere il futuro sopportabile.

Ferirla non era tollerabile. Significava che la mia unica scelta era quella di cercare di partire?

Adesso gli altri non avrebbero discusso. La mia assenza non avrebbe messo in pericolo nessuno. Non ci sarebbe stato nessun sospetto, niente per collegare i pensieri di qualcuno all'incidente.

Tentennai come avevo fatto questo pomeriggio, e niente mi sembrò possibile.

Non potevo sperare di rivaleggiare contro un ragazzo umano, anche se quello specifico ragazzo fosse o meno adatto a lei. Ero io il mostro. Come avrebbe potuto vedermi in un altro modo? Se avesse saputo la verità su di me, l'avrebbe spaventate e disgustata. Come una vittima designata in un film dell'orrore, sarebbe corsa via, gridando di terrore.

Ricordai il suo primo giorno a biologia... e seppi esattamente quale sarebbe stata la sua reazione.

Era folle immaginare che, se fossi stato io a chiederle dello stupido ballo, avrebbe cancellato in fretta i suoi piani e accettato di uscire con me.

Non ero io quello a cui era destinata a dire sì. Sarebbe stato qualcun altro, qualcuno di umano e caloroso. E non avrei potuto permettermi, un giorno, quando avrebbe detto di sì, di cacciarlo e poi ucciderlo, perché lei lo meritava, chiunque fosse. Meritava felicità e amore con chiunque avrebbe scelto.

Glielo dovevo, fare la cosa giusta; non potevo più fingere che fossi in pericolo di innamorarmi di questa ragazza.

Dopo tutto, non importava se fossi partito, perché Bella non mi avrebbe mai visto nel modo in cui speravo mi vedesse. Non mi avrebbe mai visto come qualcuno degno di amore.

Mai.

Poteva un cuore morto e freddo spezzarsi? Mi sembrò che il mio potesse farlo.

“Edward,” disse Bella.

Rimasi di ghiaccio, fissando i suoi occhi chiusi.

Si era svegliata, scoprendomi qui? Sembrava addormentata, però la sua voce era stata così chiara...

Sospirò calma, e poi si mosse di nuovo irrequieta, rotolando da un lato, ancora addormentata e sognante.

“Edward,” mormorò dolcemente.

Mi stava sognando.

Poteva un cuore morto e freddo battere di nuovo? Mi sembrò che il mio fosse sul punto di farlo.

“Resta,” sospirò. “Non andare. Ti prego... non andare.”

Mi stava sognando, e non era neanche un incubo. Voleva che restassi con lei, lì in quel sogno.

Lottai per riuscire a descrivere i sentimenti che m'inondarono, ma non avevo parole abbastanza forti per fermarli. Per un lungo momento, annegai in essi.

Quando risalii in superficie, non ero lo stesso uomo che ero stato.

La mia vita era un'infinita, un'immutata mezzanotte. Per me era necessario che rimanesse tale. Come poteva essere possibile che il sole stesse sorgendo adesso, nel mezzo della mia mezzanotte?

Da quando ero diventato vampiro, scambiando la mia anima e la mia mortalità per l'immortalità nell'infiammante dolore della trasformazione, ero stato davvero congelato. Il mio copro si era trasformato in qualcosa di più vicino alla roccia che alla carne, resistente e immutato. Anche il me stesso si era ghiacciato per com'era, la mia personalità, il miei gusti e le mie avversioni, i miei umori e i miei desideri; avevano tutti un posto fisso.

Era lo stesso per il resto di loro. Eravamo tutti congelati. Pietre viventi.

Quando arrivava per noi un cambiamento, era una cosa rara e permanente. Lo avevo visto accadere con Carlisle, e una decina di anni dopo con Rosalie. L'amore li aveva cambiati in modo eterno, un modo che non sarebbe mai svanito. Erano passati più di ottant'anni da quando Carlisle aveva trovato Esme, e ancora la guardava con gli occhi incredibili del primo amore. Per loro sarebbe stato così per sempre.

Sarebbe stato così per sempre anche per me. Avrei sempre amato questa fragile ragazza umana, per il resto della mia infinita esistenza.

Osservai il suo viso inconscio, sentendo questo amore sistemarsi in ogni parte del mio corpo di pietra.

Dormiva molto più calma adesso, un leggero sorriso sulle sue labbra.

Sempre guardandola, iniziai a complottare.

L'amavo, e quindi avrei potuto provare ad essere forte abbastanza da lasciarla. Sapevo che non ero così forte. Avrei dovuto lavorarci. Ma forse ero abbastanza risoluto da eludere il suo futuro in un altro modo.

Alice aveva visto solo due futuri per Bella, e adesso li compresi entrambi.

Amarla non mi avrebbe trattenuto dall'ucciderla, se avessi permesso a me stesso di fare errori.

Anche adesso non potevo sentire il mostro, non riuscivo a trovarlo da nessuna parte.

Forse l'amore lo aveva zittito per sempre. Se ora l'avessi uccisa, non sarebbe stato intenzionale, ma soltanto un orribile incidente.

Avrei dovuto essere eccessivamente attento. Non sarei mai, mai stato capace di abbassare la guardia. Avrei dovuto controllare ogni mio respiro. Avrei dovuto mantenere sempre una distanza di sicurezza.

Non avrei commesso errori.

Finalmente capii quel secondo futuro. Ero stato deviato da quella visione, come era possibile che Bella risultasse prigioniera di questa mezza vita immortale? Adesso, devastato dall'amore per la ragazza, compresi come avrei potuto, per imperdonabile egoismo, chiedere a mio padre quel favore. Chiedergli di prendersi la sua vita e la sua anima così che io avrei potuto averla per sempre.

Meritava di meglio.

Ma vidi un altro futuro, dove sarei stato capace di camminare sopra un filo sottile, se avessi saputo mantenere l'equilibrio.

Potevo? Stare con lei e lasciarla umana?

Di proposito, presi un respiro profondo, e poi un altro, lasciando che il suo odore mi strappasse via come un lampo. La stanza era densa del suo profumo; la sua fragranza era posata su ogni superficie. Mi girò la testa, ma lottai contro lo stordimento. Dovevo abituarmi, se avevo intenzione di tentare un qualsiasi tipo di rapporto con lei. Presi un altro profondo, infiammante respiro.

La osservai dormire mentre il sole sorgeva ad est dietro le nuvole, complottando e respirando.

 

 

Tornai a casa giusto prima che gli altri partissero per la scuola. Mi cambiai velocemente, evitando gli occhi indagatori di Esme. Vide la febbrile luce nel mio volto, e sentì preoccupazione e sollievo. La mia lunga malinconia l'aveva addolorata, era felice che sembrasse finita.

Corsi a scuola, arrivando pochi secondi dopo i miei fratelli. Non si girarono, sebbene almeno Alice doveva sapere che ero lì nel denso bosco che delimitava il marciapiede. Aspettai che nessuno guardasse, e poi rotolai casualmente fuori dagli alberi dentro il parcheggio pieno di macchine.

Sentii il rumore del pick up di Bella dietro l'angolo, e mi fermai dietro un Suburban, dove potevo osservare senza essere visto.

Guidò dentro il parcheggio, guardando la mia Volvo per un lungo momento prima di parcheggiare in un posto più distante, un cipiglio sul suo viso.

Era strano ricordare che probabilmente era arrabbiata con me, e con tutte le buone ragioni.

Volevo ridere di me stesso, o tirarmi un calcio. Tutti i miei complotti e piani erano completamente messi in discussione se a lei non importava di me, no? Il suo sogno poteva esser stato un caso fortuito. Ero un così pazzo arrogante.

Bene, era meglio per lei se non si interessava a me. Non mi avrebbe fermato dal perseguirla, ma le avrei dato un chiaro avvertimento mentre la seguivo. Glielo dovevo.

Camminai silenziosamente diritto, pensando al miglior modo per avvicinarla.

Lo rese facile. Le chiavi della sua macchina le scivolarono tra le dita mentre usciva, e caddero in una profonda pozzanghera.

Si abbassò, ma le presi prima io, recuperandole prima che mettesse le dita nell'acqua fredda.

Mi poggiai contro il suo pick up mentre trasaliva e poi si raddrizzava.

“Ma come fai?” domandò.

Sì, era ancora arrabbiata.

Le offrii le chiavi. “Come faccio cosa?”

Tese la mano, e lasciai che le chiavi le cadessero sul palmo. Presi un respiro profondo, trascinando il suo odore.

“Ad apparire dal nulla,” chiarì.

“Bella, non è colpa mia se tu sei straordinariamente distratta.” Le parole erano beffarde, quasi uno scherzo. C'era qualcosa che non notava?

Aveva sentito la mia voce avvolgere il suo nome come una carezza?

Mi guardò torva, senza apprezzare il mio umorismo. Il suo battito accelerò, per la rabbia?

Per la paura? Dopo un momento, abbassò lo sguardo.

“Perché l'ingorgo, ieri sera?” chiese senza incontrare i miei occhi. “Pensavo avessi deciso di fingere che non esisto, non di irritarmi a morte.”

Ancora molto arrabbiata. Serviva molta più fatica per migliorare le cose. Ricordai il mio proposito di essere sincero con lei...

“L'ho fatto per Tyler. Dovevo concedergli una possibilità.” E poi risi. Non seppi trattenermi, pensando alla sua espressione di ieri.

“Razza di...” rantolò, e poi si bloccò, sembrando troppo furiosa per finire. Eccola, la stessa espressione. Soffocai un'altra risata. Era già abbastanza furibonda.

“E non sto fingendo che tu non esista,” finii. Era buono mantenersi casuali, canzonatori. Non avrebbe capito se le avessi fatto vedere come mi sentivo realmente. L'avrei spaventata. Dovevo mantenere i miei sentimenti sotto controllo, mantenermi sul leggero...

“Allora hai deciso di irritarmi a morte, visto che il furgoncino di Tyler non è riuscito a farmi fuori?”

Un veloce guizzo di rabbia mi vibrò. Poteva onestamente crederci?

Era così irrazionale per me essere insultato, non aveva visto la trasformazione che era accaduta quella notte. Ma allo stesso tempo ero arrabbiato.

“Bella, sei totalmente assurda,” sbottai.

Il suo viso arrossì, e mi girò la schiena. Iniziò a camminare via.

Rimorso. Non avevo diritto di arrabbiarmi.

“Aspetta,” pregai.

Non si fermò, così la seguii.

“Scusa se sono stato maleducato. Non dico che non sia vero,” era assurdo immaginare che avevo voluto ferirla in quel modo, “ma è stato maleducato dirtelo, ecco.”

“Perché non mi lasci stare?”

Credimi, volevo dirle. Ci ho provato.

Oh, e anche, sono infelicemente innamorato di te.

Mantenermi sul leggero.

“Volevo chiederti una cosa, ma mi hai fatto perdere il filo del discorso.” Un corso di recitazione mi avrebbe scoperto, e risi.

“Soffri di disordini da personalità multipla?” chiese.

Doveva essere così. Il mio umore era irregolare, così tante emozioni mi stavano attraversando.

“Non sviarmi un'altra volta” puntualizzai.

Sospirò. “Va bene. Cosa vuoi?”

“Mi chiedevo se, sabato prossimo...” vidi lo shock attraversarle il viso, e soffocai un'altra risata. “Hai presente, il giorno del ballo di primavera...”

M'interruppe, finalmente riportando i suoi occhi dentro i miei. “Mi stai prendendo in giro?”

Sì. “Per cortesia, posso finire di parlare?”

Aspettò in silenzio, i denti premuti contro il suo labbro inferiore.

Quella vista mi distrasse per un secondo. Strane, sconosciute reazioni si agitarono profonde nel mio dimenticato cuore umano. Cercai di scacciarle così avrei potuto recitare la mia parte.

“Ti ho sentita dire che quel giorno hai in programma di andare a Seattle e volevo chiederti se accetteresti un passaggio,” offrii. Avevo realizzato che invece di domandarle dei suoi piani, avrei potuto farvene parte.

Mi fissò assente. “Cosa?”

“Vuoi un passaggio fino a Seattle?” Solo nella macchina con lei, la mia gola bruciò al pensiero. Presi un respiro profondo. Abituati.

“Da chi?” chiese, i suoi occhi ancora spalancati e confusi.

“Da me, ovviamente,” dissi lento.

“Perché?”

Era un così grande shock il fatto che volessi tenerle compagnia? Doveva aver usato i peggiori significati possibili per il mio comportamento passato.

“Beh...” dissi più indifferente possibile, “avevo intenzione di fare un salto a Seattle nelle prossime settimane e, onestamente, non sono sicuro che il tuo pick up possa farcela.” Sembrava più facile sottoporle il problema difficile piuttosto che permettermi di essere serio.

“Il mio pick up funziona più che bene, molte grazie per l'interessamento,” disse con voce sorpresa. Iniziò a camminare di nuovo. Mantenni il suo passo.

Non aveva risposto di no in realtà, così mi spinsi su quel vantaggio.

Avrebbe risposto di no? Cosa avrei fatto se lo avesse detto?

“Il tuo pick up ce la fa anche con un solo pieno di benzina?”

“Non credo siano affari tuoi,” borbottò.

Non era ancora un no. E il suo cuore stava battendo ancora più veloce, il suo respiro diventava più svelto.

“Lo spreco di riserve non rinnovabili è affare di tutta la comunità.”

“Seriamente, Edward, non riesco a seguirti. Pensavo non volessi essermi amico.”

Un brivido mi colpì quando pronunciò il mio nome.

Come potevo mantenermi sul leggero ed essere onesto allo stesso tempo? Bene, era molto più importante essere onesti. Soprattutto su questo punto.

“Ho detto che sarebbe meglio se non diventassimo amici, non che non voglio.”

“Oh, grazie, adesso è tutto molto più chiaro,” disse sarcasticamente.

Si fermò sotto il tetto della caffetteria, e incontrò di nuovo il mio sguardo. Il suo battito farfugliò. Era spaventata?

Scelsi le mie parole attentamente. No, non potevo lasciarla, ma forse lei era abbastanza intelligente da lasciare me, prima che fosse troppo tardi.

“Sarebbe molto più... prudente che tu non diventassi mia amica.” Fissando il cioccolato sciolto nelle profondità dei suoi occhi, persi la mia stretta sul leggero. “Ma sono stanco di costringermi ad evitarti, Bella.” Le parole bruciarono con troppo fervore.

Il suo respiro si fermò, e nel secondo che impiegò a ripartire, mi preoccupò.

Quanto l'avevo spaventata? Beh, lo avrei scoperto.

“Vieni con me a Seattle?” domandai, ad un punto cieco.

Annuì, il suo cuore tamburellando forte.

. Mi aveva detto di sì.

E allora la mia coscienza mi scosse. Quanto le sarebbe costato?

“Sarebbe meglio se stessi lontana da me,” la avvertii. Mi aveva sentito? Sarebbe scappata dal futuro in cui la stavo rinchiudendo? Non avrei potuto far nulla per salvarla da me?

Mantieniti sul leggero, gridai a me stesso. “Ci vediamo a lezione.”

Dovetti concentrarmi a fermare me stesso dal correre mentre fuggivo.

 

 

Gruppo Sanguigno

La seguii per tutto il giorno attraverso gli occhi degli altri, appena consapevole di ciò che mi circondava. Non attraverso gli occhi di Mike Newton, non avrei potuto sopportare oltre le… Fui sorpreso, guardandola inciampare nel corso della giornata – incespicando su crepe nel marciapiede, su libri…

Melodia

Dovetti aspettare prima di far ritorno a scuola. L'ultima ora non era ancora finita. Bene, visto che avevo alcune cose a cui pensare e avevo bisogno… Il suo odore indugiava nella macchina. Tenni i finestrini alzati, lasciando… Attrazione.

Spettro

La forzata assenza da scuola non era mai stata così sofferta prima. Però il sole sembrava renderla felice, dunque non potevo… Lunedì mattina, origliai una conversazione che ebbe la potenza di… Doveo sentire un po' di rispetto per Mike Newton; non aveva rinunciato del tutto ed era sgattaiolato a leccarsi le…

Port Angeles

Quando raggiunsi Port Angeles, era troppo luminoso per me per guidare in città; il sole era ancora troppo alto, e, nonostante i miei… Ero certo di riuscire a trovare la mente di Jessica a distanza, i suoi… Sapevo le direzioni generali per cercare, c'era un unico posto per comprare vestiti a Port Angeles. Non passò…

Teoria

 

“Posso farti un’ultima domanda?” mi supplicò invece di rispondere alla mia.

Ero al limite, impaziente del peggio. E anche, come allettato di prolungare quel momento. Di avere Bella vicino a me, volentieri, per ancora un po’ di secondi. Sospirai al dilemma, e dissi, “Una.”

“Beh...,” esitò per un momento, come per decidere a quale richiesta dar voce. “Hai detto di avere intuito che mi ero diretta a sud, anziché entrare in libreria. Mi chiedevo soltanto come avessi fatto.”

Guardai fuori dal parabrezza. Ecco un’altra domanda che non rivelava niente dalla sua parte, e troppo dalla mia.

“Pensavo che avessimo abolito gli atteggiamenti evasivi,” disse, il suo tono critico e deluso.

Che ironia. Lei era incessantemente evasiva, senza neanche provarci.

Bene, voleva che fossi diretto. E questa conversazione non stava andando verso nulla di buono, in ogni caso.

“D’accordo,” dissi. “Ho seguito il tuo odore.”

Volevo guardarla in faccia, ma avevo paura di quello che avrei visto. Invece, ascoltai il suo respiro che accelerava e quindi si stabilizzava. Dopo un momento parlò ancora, la sua voce era più ferma di quanto mi aspettassi.

“Inoltre, non hai ancora risposto ad una delle mie prime domande...” disse.

Guardai in basso verso di lei, aggrottando le sopracciglia. Stava prendendo tempo, anche lei.

“Quale?”

“Come funziona – la faccenda della lettura del pensiero?” chiese, rinnovando la domanda del ristorante. “Riesci a leggere la mente di chiunque, ovunque? Come fai? Anche i tuoi fratelli...?” Lasciò cadere la frase, arrossendo di nuovo.

“Una domanda sola, hai detto,” dissi.

Lei si limitò a fissarmi, aspettando la sua risposta.

E perché non dirglielo? Aveva già intuito molto, ed era un argomento più facile di quello che si prospettava.

“No, è una dote soltanto mia. E non riesco a sentire tutti, ovunque. Devo essere piuttosto vicino alle persone che leggo. Ma più familiare è una 'voce', maggiore è la distanza a cui l’avverto. Mai più di qualche chilometro, comunque.” Provavo a pensare a una maniera per descriverlo così che avrebbe capito. Un’analogia a cui anche lei potesse riferirsi. “È un po’ come essere in una grande sala piena di persone che parlano contemporaneamente. Una specie di rumore di fondo, il ronzio confuso delle voci. Finché non mi concentro su una voce sola e la metto a fuoco: allora sento cosa sta pensando. Il più delle volte semplicemente ignoro, escludo tutto: rischia di distrarmi troppo. Così poi è più facile sembrare normale,” feci una smorfia “ed evitare di rispondere per sbaglio ai pensieri delle persone, anziché alle loro parole.”

“Secondo te, perché non riesci a sentirmi?” mi domandò.

Di nuovo, le diedi la verità ed un’altra analogia.

“Non lo so,” ammisi. “Il mio sospetto è che la tua mente funzioni in modo diverso da tutte le altre. Come se i tuoi pensieri trasmettessero in AM e io ricevessi solo in FM.”

Capii che non sarebbe piaciuta questa analogia. L’anticipazione della sua reazione mi fece sorridere. Non mi deluse.

“La mia mente non funziona come dovrebbe?” chiese, la sua voce crebbe con il dispiacere. “Sono una specie di mostro?”

Ah, l’ironia di nuovo.

“Io sento voci nella mia testa, e tu temi di essere il mostro?” Risi. Aveva capito tutte le piccole cose, eppure sulla più grossa era tornata indietro. Sempre gli istinti sbagliati...

Bella si stava mordicchiando le labbra, e l’increspatura fra i suoi occhi era profondamente incisa.

“Stai tranquilla,” la rassicurai. “È solo una teoria...” E c’era una teoria più importante da discutere. Ero ansioso di farla finita. Ogni secondo che passava stava iniziando a presentarsi come se fosse stato preso in prestito.

“Il che ci riporta a te,” dissi, diviso in due, ansioso e riluttante allo stesso tempo.

Lei sospirò, continuando a mordicchiarsi le labbra – mi preoccupavo che si potesse ferire. Mi fissò negli occhi, il suo viso inquieto.

“Abbiamo abolito le risposte evasive, no?” chiesi tranquillo.

Abbassò lo sguardo, lottando con qualche dilemma interiore. All’improvviso si irrigidì e i suoi occhi si spalancarono. La paura apparve sul suo viso per la prima volta.

“Santo cielo!” boccheggiò.

Andai nel panico. Cosa aveva visto? Come l’avevo spaventata?

Quindi lei urlò, “Rallenta!”

“Cosa c’è?” Non capivo da dove venisse il suo terrore.

“Stai andando a centosessanta!” gridò. Gettò un’occhiata dal finestrino, e indietreggiò alla vista degli alberi neri che sfrecciavano dietro di noi.

Questa piccola cosa, solo un po’ di velocità, l’aveva fatta urlare di terrore?

Alzai gli occhi al cielo. “Rilassati, Bella.”

“Stai cercando di ucciderci?” domandò con la voce alta e tesa.

“Non usciremo di strada,”le promisi.

Inspirò profondamente, e quindi parlò in un tono leggermente più calmo. “Perché tutta questa fretta?”

“Guido sempre così.”

Incontrai il suo sguardo, divertito dalla sua espressione traumatizzata.

“Guarda avanti!” strillò.

“Non ho mai fatto incidenti, Bella. Non ho mai preso neanche una multa.” Ridacchiai e mi toccai la fronte. Era anche più comico, l’assurdità di essere in grado di scherzare con lei su qualcosa di così segreto e strano. “Segnalatore radar incorporato.”

“Divertente,” disse sarcastica, più impaurita che arrabbiata.

“Charlie è un poliziotto, ricordi? Da piccola mi è stato insegnato a rispettare il codice della strada. Inoltre, se ci trasformi in una ciambella di Volvo arrotolata a un albero, l’unico in grado di uscirne senza un graffio sei tu.”

“Probabile,” ripetei, e poi risi senza divertimento. Sì, ce la saremmo passata abbastanza diversamente in caso di incidente stradale. Aveva ragione ad aver paura, malgrado le mie abilità di guidatore...

Con un sospiro, lasciai che la macchina si trascinasse muovendosi appena. “Contenta?”

Adocchiò il tachimetro. “Quasi.”

Era ancora troppo veloce per lei? “Odio andare piano,” bofonchiai, ma lasciando che la lancetta scivolasse giù ancora una tacca.

“Così è piano?” chiese.

“Fine dei commenti sulla mia guida,” dissi impaziente. Quante volte ancora avrebbe raggirato le mie domande? Tre volte? Quattro? Le sue congetture erano così terrificanti?

Dovevo saperlo – immediatamente. “Sto ancora aspettando la tua ultima teoria.”

Si morse ancora le labbra, e la sua espressione divenne agitata, quasi addolorata.

Dominai la mia impazienza e addolcii la mia voce. Non volevo che si angosciasse.

“Non riderò, lo prometto,” la rassicurai, desiderando che fosse solo l’imbarazzo che la facesse sentire riluttante a parlare.

“In realtà temo piuttosto che ti arrabbierai con me,” sussurrò.

Mi sforzai di mantenere la voce calma. “È una teoria così brutta?”

“Abbastanza, sì.”

Guardava in basso, rifiutandosi di incontrare i miei occhi. I secondi passavano.

“Prosegui,” la incoraggiai.

La sua voce era tenue. “Non so da dove cominciare.”

“Perché non cominci dall’inizio?” Le ricordai le sue parole prima di mangiare. “Hai detto che questa teoria non è tutta farina del tuo sacco.”

“No,” convenne, e quindi ancora silenzio.

Pensai alle cose che avrebbero potuto ispirarla. “A cosa ti sei ispirata? Un libro? Un film?”

Avrei dovuto guardare le sue raccolte quando era fuori casa. Non avevo idea se Bram Stoker o Anne Rice fossero nella pila dei suoi libri consumati...

“No, “disse ancora. “È stato sabato, alla spiaggia.”

Non me lo aspettavo. Le dicerie locali su di noi non si erano mai disperse in qualcosa di troppo bizzarro – o di troppo preciso. C’era un nuovo pettegolezzo che mi ero perso? Bella sbirciò furtivamente alzando lo sguardo dalle sue mani e vide la sorpresa sul mio volto.

“Ho incontrato per caso un vecchio amico di famiglia, Jacob Black,” continuò. “Suo padre e Charlie si frequentano da quando io ero bambina.”

Jacob Black, il nome non mi era famigliare, eppure mi ricordava qualcosa...di tempo fa, parecchio indietro...Fissai fuori dal finestrino, saltando attraverso i ricordi per trovare la connessione.

“Suo padre è un anziano dei Quileute,” disse.

Jacob Black. Ephraim Black. Un discendente, senza dubbio.

Era peggio di come pensavo.

Sapeva la verità.

La mia mente volava attraverso le conseguenze di questo mentre la macchina scivolava fra le scure curve della strada, il mio corpo rigido e angosciato, immobile eccetto per la piccola, automatica azione di sterzare la macchina.

Sapeva la verità.

Ma...se aveva appreso la verità sabato...l’aveva saputa per tutta la serata...eppure...

“Abbiamo fatto una passeggiata,” continuò. “E lui mi ha raccontato vecchie leggende locali, probabilmente per spaventarmi. Me ne ha raccontata una...”

Si interruppe di colpo, ma non c’era bisogno che avesse rimorsi ora; sapevo cosa stava per dire. Il solo mistero che rimaneva era perché fosse ancora qui con me.

“Continua,” dissi.

“...che parla di vampiri,” alitò, le parole meno di un sussurro.

In qualche modo, era persino peggio che sapere che lei sapeva, sentirla dire quelle parole ad alta voce. Mi ritrassi a quel suono, e poi cercai di controllarmi.

“E hai pensato immediatamente a me?” chiesi.

“No. Lui...ha citato la tua famiglia.”

Era ironico che fosse stata la progenie di Ephraim a violare il patto che lui stesso aveva giurato di difendere. Un nipote, o forse un pronipote. Quanti anni fa era stato? Settanta?

Avrei dovuto capire che non sarebbe stato il vecchio uomo che credeva nelle leggende ad essere pericoloso. Naturalmente, la nuova generazione – quella che avrebbe dovuto essere stata avvertita, ma avrebbe deriso le antiche superstizioni – ovviamente era lì dove il pericolo di possibili rivelazioni si sarebbe annidato.

Supposi che questo significava che ero libero di massacrare quella piccola, tribù indifesa sulla costa, cosa alla quale ero parecchio propenso. Ephraim e quel suo branco di protettori erano morti da tempo...

“Secondo lui era solo una sciocca superstizione,” disse Bella improvvisamente, la sua voce ansiosa. “Non pensava che ci avrei ricamato sopra.”

Con la coda dell’occhio, la vidi torcersi le mani a disagio.

“È stata colpa mia,” disse dopo una breve pausa, poi ciondolò la testa di lato come se fosse umiliata. “L’ho costretto a raccontarmele.”

“Perché?” Ora non era così difficile mantenere la mia voce regolare. Il peggio era già passato. Per tutto il tempo durante il quale avremmo parlato dei dettagli della rivelazione, non avremmo dovuto pensare alle sue conseguenze.

“Lauren ha fatto il tuo nome – così per provocarmi.” Fece una smorfia al ricordo. Ero leggermente distratto, chiedendomi perché Bella sarebbe stata provocata da qualcuno che parlava di me... “E un ragazzo più grande, della tribù, le ha risposto che la tua famiglia non entra nella riserva, ma il suo tono evidentemente nascondeva qualcosa. Perciò sono rimasta sola con Jacob e gliel’ho estorto con l’inganno.”

Il suo capo si abbassò mentre lo ammetteva, e la sua espressione sembrava...colpevole.

Distolsi lo sguardo da lei e iniziai a ridere. Lei si sentiva colpevole? Cosa poteva aver fatto per meritarsi una condanna di qualsiasi tipo?

“Con l’inganno? E come?” chiesi.

“Ho fatto la smorfiosa con lui – e ha funzionato meglio di quanto io stessa pensassi,” spiegò lei, e la sua voce si fece incredula alla memoria di quel successo.

Potevo solo immaginare – considerando l’attrazione che sembrava scatenare in tutti i maschi, totalmente inconsapevole di questo – come sarebbe risultata irresistibile quando provava a essere attraente. All’improvviso mi sentii pieno di compassione per quell’ignaro ragazzo sul quale lei aveva scatenato una forza di tale potenza.

“Mi sarebbe piaciuto assistere,” dissi, e risi di nuovo con macabro umorismo. Desiderai di aver potuto sentire la reazione del ragazzo, tradito dalla mia devastazione.

“E poi mi accusi di fare colpo sulle persone – povero Jacob Black.”

Non ero così arrabbiato con la causa della mia esposizione come mi aspettavo di sentirmi. Non poteva sapere. E come potevo aspettarmi che chiunque negasse a questa ragazza ciò che voleva? No, provavo solo compassione per il danno che doveva aver fatto lei alla pace mentale di lui.

Sentii il suo rossore vergognoso ardere nell’aria fra noi. Le lanciai uno sguardo, stava fissando fuori dal finestrino. Era di nuovo silenziosa.

“E allora cosa hai fatto?” la sollecitai. Era tempo di ritornare alla storia dell’orrore.

“Una breve ricerca su Internet.”

Molto utile. “E hai trovato conferma ai tuoi dubbi?”

“No,” disse. “Non mi quadrava niente. Più che altro si trattava di stupidaggini. E poi – ”

Si interruppe di nuovo, e sentii i suoi denti serrarsi.

“Poi cosa?” domandai. Cosa aveva scoperto? Cosa aveva dato senso a questo incubo?

Ci fu una breve pausa, e quindi sussurrò, “Ho deciso che non mi importa.”

Lo shock gelò i miei pensieri per mezzo secondo, e poi tutto mi fu chiaro. Perché stanotte aveva lasciato che le sue amiche se ne andassero piuttosto che scappare con loro. Perché era venuta in macchina con me anziché fuggire, strillando verso la polizia...

Le sue reazioni erano sempre sbagliate, sempre completamente sbagliate. Attirava il pericolo verso di lei. Lo invitava.

“Non ti importa?” dissi attraverso i denti, colmo di rabbia. Come potevo pensare di poter proteggere qualcuno di così...così...così determinato a non farsi proteggere?

“No,” disse con voce debole, ma inspiegabilmente delicata. “Non mi importa cosa sei.”

Era impossibile.

“Non t’importa se sono un mostro? Se non sono umano?”

“No.”

Inizia a domandarmi se fosse davvero sana di mente.

Pensai che avrei potuto predisporre per lei le migliori cure a disposizione...Carlisle aveva tutti i contatti per trovarle i medici più esperti, e terapisti con più talento. Forse poteva essere fatto qualcosa per aggiustare qualsiasi cosa non andasse in lei, qualsiasi cosa la facesse sentire felice di stare seduta accanto a un vampiro con il cuore che batteva calmo e fermo. Avrei sorvegliato il procedimento, naturalmente, visitandola per quanto mi fosse stato permesso...

“Ti ho fatto arrabbiare,” sospirò. “Non avrei dovuto aprire bocca.”

Come se nascondendo queste sue tendenze allarmanti avesse aiutato qualcuno.

“No. Preferisco sapere cosa pensi – anche se ciò che pensi è assurdo.”

“Quindi mi sto sbagliando di nuovo?” chiese, un po’ combattiva.

“Non intendevo questo!” Serrai ancora i denti. “‘ Non m’importa!’” ripetei aspro.

Lei boccheggiò. “È così allora?”

“T’interessa?” ribattei.

Prese un profondo respiro. Furioso, attendevo la sua risposta.

“Non proprio,” disse, la sua voce di nuovo composta. “Ma sono curiosa.”

Non proprio. Non le importava davvero. Non le interessava. Sapeva che non ero umano, che ero un mostro, e questo non le interessava.

Mettendo da parte le mie preoccupazioni riguardo la sua sanità mentale, iniziai a sentire che la speranza dentro me cresceva. Cercai di schiacciarla.

“Cosa vuoi sapere” le chiesi. Non rimanevano segreti, solo pochi dettagli.

“Quanti anni hai?” chiese.

La mia risposta fu automatica e ingranata. “Diciassette.”

“E da quanto tempo hai diciassette anni?”

Cercai di non sorridere al suo tono da avvocato. “Da un po’,” ammisi.

“D’accordo,” disse, improvvisamente entusiasta. Mi sorrise. Quando le restituii lo sguardo, ancora ansioso per la sua sanità mentale, il suo sorriso si fece più ampio. Feci una smorfia.

“Non ridere se te lo chiedo, ma...,” mi avvertì. “Come fai ad uscire di casa quando è giorno?”

Mi misi a ridere malgrado la sua richiesta. Le sue ricerche non le avevano fatto guadagnare nulla di insolito, a quanto pareva. “Leggenda,”le risposi.

“Non ti sciogli al sole?”

“Leggenda.”

“Dormi dentro una bara?”

“Leggenda.”

Dormire non faceva parte della mia vita da così tanto tempo, fino a queste ultime notti, mentre avevo guardato Bella sognare...

“Io non dormo,” mormorai, rispondendo alla sua domanda con più precisione.

Per un momento rimase in silenzio.

“Mai?” chiese.

“Mai,” confermai, con un filo di voce.

La guardai negli occhi, spalancati sotto la folta cornice di ciglia, e desiderai poter dormire.

Non per l’oblio, come avevo già fatto prima, non per sfuggire alla monotonia, ma perché volevo sognare.

Forse, se avessi potuto trovarmi in uno stato di incoscienza, se avessi potuto sognare, avrei potuto vivere per qualche ora in un mondo dove io e lei avremmo potuto stare insieme. Lei mi sognava. Io avrei voluto sognarla.

Lei mi restituì lo sguardo, la sua espressione piena di domande. Dovetti distogliere lo sguardo.

Non potevo sognarla. Lei non avrebbe dovuto sognare me.

“Non mi hai ancora fatto la domanda più importante,” le dissi, il mio petto muto più freddo e duro che mai. Doveva sforzarsi di capire. Ad un certo punto, avrebbe dovuto capire cosa stesse facendo. Doveva rendersi conto che tutto questo importava, più di ogni altra considerazione. Considerazioni come il fatto che io l’amavo.

“Quale sarebbe?” chiese, sorpresa e ignara.

Questo non fece altro che far indurire la mia voce. “Non sei preoccupata della mia dieta?”

“Ah...quella.” Parlò con un tono calmo, che non potei interpretare.

“Sì, quella. Non sei curiosa di sapere se mi nutro di sangue?”

Indietreggiò lontana alla mia domanda. Finalmente. Stava capendo.

“Beh, Jacob mi ha detto qualcosa,”disse.

“Cosa ti ha detto?”

“Ha detto che voi non...andate a caccia di umani. Ha detto che la tua famiglia non è considerata pericolosa , perché vi cibate solo di animali.”

“Ha detto che non siamo pericolosi?” ripetei scettico.

“Non esattamente,” chiarì. “Ha detto che non vi ritengono pericolosi. Ma che per non correre rischi, i Quileutes ancora oggi non vi vogliono nel loro territorio.”

Fissavo la strada, i mie pensieri un groviglio disperato, la mia gola dolente per la sete familiare e ardente.

“Ha detto la verità?” chiese, tranquilla come se stesse confermando un annuncio riguardante il tempo.

“I Quileutes hanno una buona memoria.”

Annuì a se stessa, pensando intensamente.

“Non fidarti troppo però,” dissi velocemente. “Fanno bene a mantenere le distanze. Siamo ancora pericolosi.”

“Non capisco.”

No, non capiva. Come mostrarglielo?

“Ci proviamo,” dichiarai. “Di solito riusciamo molto bene in ciò che facciamo. Ogni tanto compiamo qualche errore. Io, per esempio, non dovrei restare solo con te.”

Il suo odore era ancora forte nell’abitacolo della macchina. Mi stavo gradualmente abituando, potevo almeno ignorarlo, ma non c’era parte del mio corpo che bramasse avvicinasi a lei per le ragioni sbagliate. La mia bocca era inondata di veleno.

“Questo è un errore?” chiese, c’era del tormento nella sua voce. Quel suono mi disarmò. Voleva stare con me, a dispetto di ogni cosa, voleva stare con me.

La speranza si gonfiò di nuovo, ma la spinsi indietro.

“Un errore molto pericoloso,” le dissi obiettivo, come se la verità potesse veramente fare cessare tutti i problemi.

Per un momento non rispose. Sentii il suo respiro cambiare, sobbalzava in modi strani che non sembravano dovuti alla paura.

“Vai avanti,” disse inaspettatamente, la sua voce distorta dall’angoscia.

La esaminai attentamente.

Era nel panico. Come avevo potuto permetterlo?

“Cos’altro vuoi sapere?” chiesi, provando a pensare a un modo per evitare di ferirla. Non doveva rimanere ferita. Non potevo permettere che si facesse del male.

“Dimmi perché vai a caccia di animali, anziché di essere umani,” disse, ancora addolorata.

Non era ovvio? O forse nemmeno questo le interessava.

“Non voglio essere un mostro,” mormorai.

“Ma gli animali non ti bastano?”

Mi misi alla ricerca di un altro paragone, a una maniera per farle capire. “Non ho verificato, ovviamente, ma immagino che sia come una dieta a base solo di tofu e latte di soia. Per scherzare ci definiamo “vegetariani”. Gli animali non placano del tutto la fame, o meglio, la sete. Ma riusciamo a mantenerci in forze. Il più delle volte.” La mia voce si abbassò; ero pieno di vergogna per averle permesso di mettersi in un tale pericolo. Un pericolo che continuavo a concedere...

“Talvolta è davvero difficile.”

“Anche in questo momento?”

Sospirai. Era ovvio che avrebbe chiesto la domanda alla quale non avrei voluto rispondere. “Sì,” ammisi.

Questa volta prevedei la sua reazione fisica correttamente: il suo respiro si mantenne regolare, e il suo cuore pulsava normalmente. Me lo aspettavo, ma non lo capii. Come poteva non essere terrorizzata?

“Però adesso non hai fame,” dichiarò, perfettamente sicura di se stessa.

“Cosa te lo fa pensare?”

“I tuoi occhi,”disse, il suo tono spontaneo. “Ho una teoria, te l’ho detto. Ho notato che le persone – soprattutto gli uomini – diventano indisponenti quando hanno fame.”

Ridacchiai alla sua descrizione: indisponente. Era un attenuante. Ma aveva assolutamente ragione, come suo solito. “Sei una brava osservatrice, eh?” Risi ancora.

Sorrise un poco, e la crepa fra i suoi occhi tornò come se si stesse concentrando su qualcosa.

“Lo scorso weekend sei andato a caccia con Emmett?”chiese dopo che la mia risata si fu dissolta. La maniera disinvolta in cui parlava era tanto affascinante quanto frustrante. Poteva accettare davvero così tanto in così poco tempo? Ero più vicino io allo shock di quanto non lo sembrasse lei.

“Sì,” le dissi, e poi, mentre stavo per lasciare la risposta così com’era, fui colto dalla stessa urgenza che avevo avvertito nel ristorante: volevo che lei mi conoscesse. “Non avrei voluto andare via,” continuai lentamente, “ma ne avevo bisogno. È più facile starti vicino quando non ho sete.”

“Perché non volevi andarci?”

Presi un respiro profondo, e mi girai per incontrare il suo sguardo. Questo tipo di onestà era difficile in un modo differente.

“Starti lontano...mi rende...ansioso,” immaginai che quelle parole sarebbero bastate, sebbene non fossero forti abbastanza, “Non scherzavo, quando ti ho chiesto di badare a non cadere nell’oceano o a non farti investire, giovedì. Per tutto il fine settimana sono rimasto in pensiero. E dopo stasera, mi sorprende che tu sia sopravvissuta al weekend senza farti un graffio.” Poi mi ricordai dei graffi sui palmi delle sue mani. “Beh, non proprio,” mi corressi.

“Cosa?”

“Le tue mani,” le ricordai.

Sospirò e fece una smorfia. “Sono caduta.”

Avevo indovinato. “Lo immaginavo,” dissi, incapace di trattenere un sorriso. “È anche vero che, per i tuoi standard, avrebbe potuto andare peggio, ed è proprio questo che mi ha tormentato, mentre ero lontano da te. Sono stati tre giorni molto lunghi. Ho rischiato di fare saltare i nervi ad Emmett.” Onestamente, non apparteneva del tutto al passato. Probabilmente, stavo tuttora irritando Emmett, e anche tutto il resto della famiglia. Tranne Alice...

“Tre giorni?”chiese, la sua voce si fece improvvisamente acuta. “Non siete tornati oggi?”

Non capivo l’asprezza nella sua voce. “No, siamo a casa da domenica.”

“Ma allora perché nessuno di voi è venuto a scuola?” domandò. La sua irritazione mi confuse. Non sembrava capire che la sua domanda era una di quelle che si collegavano alla mitologia.

“Beh, mi hai chiesto se il sole mi fa male e ti ho risposto di no,” dissi. “Però non posso espormi alla sua luce...perlomeno, non in pubblico.”

Questo la distrasse dalla sua misteriosa irritazione. “Perché?” chiese, piegando la testa di lato.

Dubitavo di poter trovare un esempio appropriato per poterle spiegare. Così le dissi semplicemente, “Un giorni ti farò vedere, te lo prometto.” E dopo mi chiesi se era una promessa che alla fine avrei infranto. L’avrei vista ancora, dopo stanotte? L’amavo abbastanza da essere in grado di sopportare di lasciarla?

“Potevi chiamarmi,”disse.

Che conclusione strana. “Ma sapevo che eri sana e salva.”

Io invece non sapevo dove fossi tu. Io...” Si interruppe bruscamente, e si guardò le mani.

“Cosa?”

“Non mi ha fatto piacere,” disse timidamente, la pelle sulle sue guance bruciava. “non vederti. Anche a me viene l’ansia.”

Sei felice ora? Domandai a me stesso. Beh, ecco il premio per aver sperato.

Ero sconcertato, esaltato, inorridito – per la maggior parte inorridito – per aver realizzato che le mie folli fantasie non erano così lontane dal fare centro. Ecco perché non le importava che io fossi un mostro. Era esattamente la stessa ragione per la quale non mi ero curato a lungo delle regole.

Perché giusto e sbagliato non erano più influenze determinanti. Perché tutte le mie priorità erano cambiate, slittando di un anello verso il basso per fare spazio in cima a questa ragazza.

Bella mi era cara, troppo.

Sapevo che poteva non essere nulla paragonato al modo in cui l’amavo. Ma per lei era abbastanza rischiare la vita per stare qui, seduta al mio fianco. Lo faceva con piacere.

Abbastanza per causarne il suo dolore se io avessi fatto la cosa giusta e l’avessi lasciata.

C’era qualcosa che potevo fare che non l’avrebbe ferita? Proprio nulla?

Avrei dovuto starmene lontano. Non sarei mai dovuto tornare a Forks. Non le avrei causato nient'altro che dolore.

Questo mi avrebbe fermato dal restare accanto a lei adesso? Dal peggiorare la situazione?

Il modo in cui mi sentivo ora, avvertendo il suo calore sulla mia pelle...

No. Niente mi avrebbe fermato.

“Ah,” gemetti. “Così non va.”

“Cos’ho detto?” chiese, rapida nell’accusare se stessa.

“Non capisci, Bella? Che io renda infelice me stesso è una cosa, ma che tu sia coinvolta è una altro paio di maniche. Non voglio più sentirti dire che provi cose del genere.”

Era la verità, era una bugia. La parte più egoista di me stava volteggiando nella consapevolezza che lei mi voleva come io volevo lei. “È sbagliato. È rischioso. Bella io sono pericoloso – ti prego renditene conto.”

“No.” Le sue labbra si imbronciarono arrabbiate.

“Dico sul serio.” Mi stavo scontrando con me stesso così intensamente – mezzo disperato perché volevo che accettasse, mezzo disperato di impedire agli avvertimenti di farla scappare da me – che le parole mi uscirono dai denti in un ringhio.

“Anch’io,” insistette lei. “Te l’ho detto, non mi importa che cosa sei. È troppo tardi.”

Troppo tardi? Il mondo divenne lugubremente bianco e nero per un interminabile secondo mentre nella mia memoria guardavo le ombre trascinarsi sul prato soleggiato verso la figura dormiente di Bella. Inevitabile, inarrestabile. Esse rubavano i colori dalla sua pelle, immergendola nell’oscurità.

Troppo tardi? La visione di Alice mi turbinò in testa, gli occhi rosso cremisi di Bella mi fissarono di rimando impassibili. Inespressivi, ma non c’era possibilità che lei non potesse odiarmi in quel futuro. Odiarmi per averle rubato ogni cosa. Per averle rubato la vita e l’anima.

Non poteva essere troppo tardi.

“Non dirlo mai,”sibilai.

Guardò fuori dal finestrino, i suoi denti a mordere di nuovo le labbra. Teneva le mani in grembo strette in rigidi pugni. Il suo respiro tremolante e spezzato.

“A cosa pensi?” Dovevo saperlo.

Scosse il capo senza guardarmi. Vidi qualcosa brillare, come un cristallo, sulla sua guancia.

Angoscia. “Piangi?” L’avevo fatta piangere. L’avevo ferita fino a quel punto.

Si strofinò via le lacrime con il dorso della mano.

“No.” Mentì, con la voce rotta.

Alcuni istinti sepolti dentro me da tempo mi suggerirono di allungarmi verso lei – in quel secondo mi sentii più umano che mai. E poi mi ricordai...che non lo ero. E abbassai le mani.

“Scusa,” dissi, con la mascella serrata. Come avrei mai potuto dirle quanto mi dispiaceva? Mi dispiaceva per tutti gli stupidi sbagli che avevo commesso. Mi dispiaceva per il mio illimitato egoismo. Mi dispiaceva perché era stata così sfortunata da ispirarmi questo primo, tragico amore. Mi dispiaceva anche per quelle cose che andavano al di là del mio controllo, che ero quel mostro scelto dal fato destinato a far terminare la sua vita, tanto per cominciare.

Respirai profondamente – ignorando la mia spiacevole reazione alla fragranza nell’auto – e cercai di riprendere il controllo di me stesso.

Volevo cambiare discorso, pensare a qualcos’altro. Per mia fortuna, la mia curiosità per la ragazza era insaziabile. Avevo sempre una domanda pronta.

“Dimmi una cosa,” dissi.

“Parla.” Disse con la voce rauca, le lacrime ancora parte di essa.

“Cosa stavi pensando stasera, poco prima che arrivassi io? Non riuscivo a leggere la tua espressione. Non sembravi impaurita, pareva che ti sforzassi di concentrarti su qualche cosa.” Richiamai alla mente il suo viso – sforzandomi di dimenticare da quali occhi la stessi osservando – un espressione di determinazione in esso.

“Cercavo di ricordare come si mette fuori combattimento un assalitore,” disse con voce più composta. “Insomma, l’autodifesa. Stavo per spappolargli il naso conficcandoglielo nel cervello.” La sua compostezza non durò fino alla fine della spiegazione. La sua voce di distorse fino a che ribollì d’odio. Questa non era un’esagerazione, adesso la sua furia da gattino non era divertente.

Potevo vedere la sua fragile figura – semplice seta su vetro – eclissata dal carnoso, uomo-mostro dai pugni pesanti che le avrebbe fatto del male. La furia si agitò nella mia testa.

“Li avresti affrontati?” Avrei voluto lamentarmi. I suoi istinti l’avrebbero condotta alla morte. “Non pensavi di scappare?”

“Quando corro inciampo a tutto spiano,” disse con aria imbarazzata.

“Chiedere aiuto con un urlo?”

“Ci stavo arrivando.”

Scossi la testa incredulo. Come era riuscita a rimanere in vita prima di arrivare a Forks?

“Hai ragione,” le dissi con un tono acido. “Cercare di tenerti in vita vuole dire davvero lottare contro il destino.”

Sospirò e guardò fuori. Poi si rivolse di nuovo verso di me.

“Ci vediamo domani?” chiese all’improvviso.

Già che mi trovavo sulla via per l’inferno, tanto vale godermi il viaggio.

“Sì – anche io devo consegnare un saggio.” Le sorrisi, e mi sentii bene nel farlo. “Ti tengo il posto, a pranzo.”

Il suo cuore vibrò; mentre il mio, morto, si scaldò.

Fermai la macchina davanti a casa di suo padre. Non fece alcun accenno ad andarsene.

Prometti che domani ci sarai?” insistette.

“Lo prometto.”

Come poteva darmi tanta felicità fare la cosa sbagliata? Sicuramente c’era qualcosa di difettoso.

Annuì a se stessa, soddisfatta, e iniziò a togliersi il mio giaccone.

“Puoi tenerlo,” le assicurai svelto. Se possibile, volevo lasciarle qualcosa di mio. Un simbolo, come il tappo di bottiglia che avevo in tasca in quel momento...”O domani non avrai niente da mettere.”

Lo allungò verso di me, sorridendo con rassegnazione. “Non mi va di dare spiegazioni a Charlie,” mi spiegò.

Non l’avevo immaginato. Le sorrisi. “D’accordo.”

Mise la mano sulla maniglia della portiera, e si fermò. Restia ad andarsene, come io lo ero a farla andare.

Di saperla senza protezione, anche se per poco...

Peter e Charlotte erano già ora sulla loro via, lontano da Seattle, senza dubbio.

Ma ce ne erano sempre altri. Il mondo non era un posto sicuro per qualsiasi umano, e per lei sembrava essere più pericoloso che per il resto.

“Bella?” chiesi, sorprendendomi del piacere che provavo semplicemente pronunciando il suo nome.

“Sì?”

“Mi prometti una cosa?”

“Sì,” accettò facilmente, ma poi i suoi occhi si tesero come se stesse pensando ad una ragione per obbiettare.

“Non andare nel bosco da sola,” la avvertii, chiedendomi se questa richiesta avrebbe causato l’opposizione nel suo sguardo.

Sbatté le palpebre, perplessa. “Perché?”

Fissai cupo l’inaffidabile oscurità. La mancanza di luce non era un problema per i miei occhi, ma non avrebbe dato problemi nemmeno ad un altro cacciatore. Rendeva ciechi solo gli umani.

“Diciamo che non sono sempre io, la cosa più pericolosa in circolazione,” le dissi.

Rabbrividì, ma si riprese svelta e stava addirittura sorridendo quando parlò.

“Come vuoi.”

Il suo respiro accarezzò il mio viso, dolce e profumato.

Avrei potuto stare lì tutta la notte in quel modo, ma lei aveva bisogno di riposo. I due desideri che lottavano continuamente dentro me sembravano possedere eguali forze: volendola contro volendola salva.

Sospirai di fronte all’impossibile. “Ci vediamo domani,” le dissi, sapendo che in realtà l’avrei rivista molto prima. Lei non avrebbe rivisto me prima di domani, comunque.

“A domani, allora,” convenne mentre apriva la portiera.

Di nuovo l’ansia, vedendola andarsene.

Mi sporsi verso di lei, volendola trattenere. “Bella?”

Si girò, e gelò, sorpresa che le nostre facce fossero così vicine l’un all’altra.

Io stesso ero confuso dalla sua vicinanza. Il calore scivolava via da lei ad onde, carezzandomi il volto. Potevo sentire la morbidezza della sua pelle...

Il suo battito cardiaco balbettò, e le sue labbra si socchiusero.

“Sogni d’oro,” le sussurrai, e mi allontanai prima che le urgenze del mio corpo – tanto la familiare sete quanto la nuova e strana brama che inaspettatamente provavo – potessero farmi fare qualcosa che l’avrebbe ferita.

Rimase seduta impassibile per un momento, i suoi occhi spalancati e inebetiti. Abbagliata, intuii.

Come me.

Riprese il controllo, anche se aveva ancora un’espressione un po’ confusa, e scese dall’auto con una mezza caduta, inciampando nei suoi piedi e aggrappandosi alla carrozzeria della macchina per rimanere in equilibrio.

Ridacchiai, sperando che fosse troppo piano perché lei potesse sentire.

La guardai incespicare fino al cono di luce che circondava la porta frontale. Salva per il momento. E sarei tornato presto per accertarmene.

Potevo sentire il suo sguardo seguirmi mentre mi allontanavo sulla strada buia. Una cosa parecchio diversa da quella alla cui ero abituato. Di solito, potevo semplicemente vedere e seguire me stesso attraverso gli occhi di qualcuno. Era stranamente eccitante, questa tangibile sensazione di essere osservato. Sapevo che mi sentivo così solo perché erano i suoi occhi.

Milioni di pensieri si rincorsero l’un l’altro nella mia testa mentre guidavo senza meta nella notte.

Mi aggirai per le strade a lungo, senza andare da nessuna parte, pensando a Bella e all’incredibile concessione di averle svelato la verità. Poco tempo prima tremavo all’idea che scoprisse cos’ero. Sapeva. Non le importava. Sebbene fosse evidentemente una cosa negativa per lei, era incredibilmente liberatoria per me.

Più che altro, pensai all’amore che lei contraccambiava per me. Non avrebbe potuto amarmi nel modo in cui l’amavo io – di un amore irresistibile, sfrenato e devastante che probabilmente avrebbe schiacciato il suo fragile corpo. Ma si sentiva abbastanza forte. Abbastanza da domare la paura che d’istinto avrebbe dovuto provare. Abbastanza da voler stare con me. E stare con lei era la più grande felicità che avessi mai conosciuto.

Per un po’ – mentre ero solo e senza ferire nessun altro tanto per cambiare – mi permisi di provare quella gioia senza soffermarmi sulla tragedia. Provando semplicemente felicità perché mi voleva bene. Esultando semplicemente nel trionfo di avere vinto e di essermi guadagnato il suo affetto. Immaginando semplicemente di sedermi accanto a lei giorno dopo giorno, ascoltando la sua voce e aggiudicandomi i suoi sorrisi.

Rievocai alla mente quel sorriso, osservandone le labbra piene sollevate agli angoli, la traccia di una fossetta sul mento a punta, il modo in cui i suoi occhi si illuminavano e ardevano...

Le sue dita mi erano sembrate così calde e soffici stanotte, sulle mie mani. Immaginai come sarebbe stato toccare la delicata pelle che la avvolgeva sopra le guance – levigata, calda...così fragile.

Come ghiaccio rivestito di seta...spaventosamente friabile.

Non fui in grado di vedere dove mi stavano conducendo i miei pensieri fino a che non fu troppo tardi. Appena mi soffermai su quella devastante vulnerabilità, nuove immagini del suo volto si intromisero nelle mie fantasie.

Persa nelle ombre, orribilmente pallida, la sua mascella già tesa e determinata, i suoi occhi duri, pieni di concentrazione, il suo corpo slanciato in posizione per attaccare le enormi figure che si ammassavano attorno a lei, incubi nell’oscurità...

“Ah,” gemetti mentre il fremente odio che avevo ancora dentro me, momentaneamente dimenticato per la gioia che provavo ad amarla, esplose di nuovo in una rabbia infernale.

Ero solo. Bella era, speravo, al salvo a casa sua; per un momento fui violentemente felice che Charlie Swan – capo del rispetto della legge locale, addestrato ed armato – fosse suo padre. Questo doveva pur significare qualcosa, prevedere una protezione per lei.

Era al sicuro. Non mi ci sarebbe voluto molto per vendicare questa villania...

No. Lei si meritava di meglio. Non potevo permetterle di avere cura di un assassino.

Ma...gli altri?

Bella era salva, certo. Angela e Jessica erano anch’esse sicuramente al sicuro nei loro letti.

Ma c’era un mostro libero per le strade di Port Angeles. Un mostro umano, questo lo faceva un problema del quale avrebbero dovuto occuparsi gli umani? Commettere l’omicidio che io desideravo di commettere era sbagliato. Lo sapevo. Ma nemmeno lasciarlo libero di attaccare ancora poteva essere la cosa giusta da fare.

La hostess bionda del ristorante. La cameriera che non avevo neanche degnato.

Entrambe, seppure in maniera insignificante, mi avevano irritato, ma questo non significava che meritassero di essere in pericolo.

Ciascuna di loro avrebbe potuto trovarsi nella situazione di Bella.

Questa constatazione mi decise.

Girai la macchina verso nord, accelerando ora che avevo uno scopo. Ogni volta che avevo un problema che andasse oltre quello che potessi fare personalmente – qualcosa di tangibile come in questo caso – sapevo dove sarei potuto andare a chiedere aiuto.

Alice era seduta in veranda, e mi stava aspettando. Mi fermai davanti a casa anziché andare in garage.

“Carlisle è nello studio,” mi disse Alice prima che potessi domandarglielo.

“Grazie,” dissi, scompigliandole i capelli mentre le passavo oltre.

Grazie per avere risposto alla mia chiamata, pensò sarcastica.

“Oh.” Mi fermai alla porta, estraendo il mio telefono e aprendolo con uno scatto. “Scusa. Non ho nemmeno controllato chi fosse. Ero...occupato.”

“Certo, lo so. Anche a me dispiace. Quando ho visto cosa stava per accadere, tu eri già sulla tua strada.”

“Ci è mancato poco,” mormorai.

Mi dispiace, ripeté, vergognandosi di se stessa.

Era facile essere magnanimi, sapendo che Bella stava bene. “Non essere dispiaciuta. So che non puoi cogliere ogni cosa. Nessuno si aspetta che tu sia onnisciente, Alice.”

“Grazie.”

“Quasi ti ho chiesto di venire fuori a cena stanotte, te ne sei accorta prima che cambiassi idea?”

Le sue labbra si allargarono in un ampio sorriso. “No, mi sono persa anche questo. Avrei voluto saperlo. Sarei venuta.”

“Su cosa ti stavi concentrando, per lasciarti scappare così tanto?”

Jasper sta pensando al nostro anniversario. Rise. Sta provando a non fare decisioni sul mio regalo, ma penso che avrò un’ idea piuttosto carina...

“Che spudorata.”

“Già.”

Increspò le labbra, e alzò lo sguardo per fissarmi, un accenno di accusa nella sua espressione. Ho prestato più attenzione dopo. Hai intenzione di dire agli altri che sa la verità?

Sospirai. “Sì. Più tardi.”

Non dirò nulla. Fammi un favore e dillo a Rosalie quando non sono nei paraggi, okay?

Sussultai. “Certo.”

Bella l’ha presa abbastanza bene.

“Troppo bene.”

Alice mi sorrise. Non sottovalutare Bella.

Provai a bloccare l’immagine che non avrei mai voluto vedere, Bella e Alice, migliori amiche.

Sospirai pesantemente, ora mi sentivo impaziente. Volevo passare alla seconda parte della serata; farla finita al più presto. Ma ero un po’ preoccupato all’idea di lasciare Forks...

“Alice...”iniziai. Vide cosa stavo progettando di chiederle.

Stanotte starà bene. Sto controllando meglio adesso. Ha bisogno di una sorta di supervisione ventiquattr’ore su ventiquattro, vero?

“Almeno.”

“Ad ogni modo, sarai con lei abbastanza presto.”

Presi un respiro profondo. Le parole avevano un significato stupendo per me.

“Vai avanti, fai quello che devi così che tu possa stare dove desideri,”mi disse.

Annuii, e mi affrettai a raggiungere la stanza di Carlisle.

Mi stava aspettando, con gli occhi sulla porta piuttosto che sullo spesso libro che giaceva sulla sua scrivania.

“Ho sentito Alice dirti dove avresti potuto trovarmi,”disse, e mi sorrise.

Era un sollievo stare con lui, vedere la comprensione e la profonda intelligenza nei suoi occhi.

Carlisle avrebbe saputo cosa fare.

“Ho bisogno di aiuto.”

“Qualsiasi cosa, Edward,”mi promise.

“Alice ti ha detto cosa è successo a Bella stanotte?”

Quasi successo, mi corresse.

“Sì, quasi. Ho un dilemma, Carlisle. Vedi, io voglio...davvero tanto...ucciderlo.” Le parole iniziarono a volare veloci e appassionate. “Davvero tanto. Ma so che sarebbe sbagliato, perché sarebbe vendetta, non giustizia. Tutta collera, senza imparzialità. Nondimeno, non può essere giusto lasciare un assassino e un violentatore seriale a piede libero per Port Angeles! Non conosco nessun umano là, ma non posso lasciare che qualcun altro prenda il posto di Bella come sua vittima. Quelle altre donne, qualcuno potrebbe provare per loro quello che io provo per Bella. Potrebbe soffrire quello che avrei sofferto io se le fosse successo qualcosa. Non è giusto...”

Il suo ampio ed imprevisto sorriso fermò il gelido assalto delle mie parole.

Lei va davvero bene per te, vero? Così tanta compassione, così tanto controllo. Sono impressionato.

“Non sono in cerca di complimenti, Carlisle.”

“Certo che no. Ma non posso fare a meno di pensare, no?” Sorrise di nuovo.

“Me ne occuperò io. Puoi stare tranquillo. Nessun altro si farà male al posto di Bella.”

Vidi il piano che aveva in mente. Non era esattamente quello che avrei desiderato fare, non soddisfava la mia voglia smodata di violenza, ma sapevo che era la cosa giusta da fare.

“Ti mostrerò dove puoi trovarlo,” dissi.

“Andiamo.”

Sulla strada afferrò la sua bora nera. Avrei preferito un sedativo più aggressivo – qualcosa come un cranio rotto – ma avrei permesso a Carlisle di fare a modo suo.

Prendemmo la mia macchina. Alice era ancora seduta sui gradini. Ci sorrise e ci fece un cenno mentre ci allontanavamo. Vidi che aveva guardato verso di me; non avremmo incontrato difficoltà.

Il viaggio sulla strada buia e vuota fu breve. Lasciai i fari dell’auto spenti, in modo da non attirare l’attenzione. Il pensiero di come avrebbe potuto reagire Bella a questa velocità mi fece sorridere. Stavo già guidando più piano del solito – per prolungare il mio tempo con lei – quando lei aveva obbiettato.

Anche Carlisle stava pensando a Bella.

Non mi sarei mai aspettato che sarebbe stata così adatta per lui. È stato inaspettato. Forse, in qualche modo questo ha un significato. Forse serve a uno scopo più alto. Solo...

Ritrasse Bella con la pelle candida, fredda come la neve, gli occhi rosso sangue, e poi rifuggì da quell’immagine.

Sì. Solo. Infatti. Perché come poteva esserci del positivo nel distruggere qualcosa di così puro e bello?

Fissai cupo la notte, tutte le gioie provate quella sera distrutte da quell’unico pensiero.

Edward merita di essere felice. Gli spetta di diritto. La ferocia nei pensieri di Carlisle mi sorprese. Ci deve essere un modo.

Speravo di poterci credere, l’uno o l’altro. Ma non c’era uno scopo più alto per quello che stava accadendo a Bella. Solo una cattiva arpia, un destino brutale e terribile che non poteva sopportare che Bella avesse la vita che si meritava.

Non mi soffermai a Port Angeles. Portai Carlisle nella bettola dove la creatura chiamata Lonnie stava annegando la sua delusione con i suoi amici, due dei quali erano già svenuti. Carlisle poté vedere come fu duro per me stare così vicino, sentire i pensieri di quel mostro e vedere i suoi ricordi, ricordi di Bella amalgamati a quelli di altre ragazze meno fortunate che nessuno avrebbe più potuto salvare ora.

Respiravo velocemente, in modo anormale. Mi aggrappai ferocemente allo sterzo.

Vai, Edward, mi disse gentilmente. Farò in modo che tutte le altre siano al sicuro. Torna da Bella.

Colpì nel segno. Il suo nome ora era la sola distrazione che poteva significare qualcosa.

Lo lasciai in macchina, e mi diressi a Forks attraversando di corda la foresta dormiente. Impiegai meno tempo che viaggiando in macchina. Fu solo pochi minuti dopo che scalai il fianco di casa sua e scivolai dentro la sua finestra.

Silenziosamente, sospirai di sollievo. Ogni cosa era dove avrebbe dovuto essere. Bella era al sicuro nel suo letto, sognante, i suoi capelli umidi annodati come alghe sul guanciale.

Ma, diversamente dalla maggior parte delle notti, era appallottolata con le coperte tirate fino alle spalle. Per il freddo, immaginai. Prima che potessi sedermi nella solita sedia a dondolo, rabbrividì nel sonno, e le sue labbra tremarono.

Per un breve istante rimasi a pensare, poi uscii silenziosamente nell’ingresso, in esplorazione delle altri parti della sua casa, per la prima volta.

Il russare di Charlie risuonava sonoro e regolare. Potevo quasi afferrare i margini del suo sogno.

Qualcosa che c’entrava la corsa dell’acqua e attese pazienti...la pesca, forse?

Là, sulla cima delle scale, c’era un armadio dall’aria promettente. Lo aprii speranzoso, e trovai quello che stavo cerando. Scelsi la coperta più pesante dal piccolo armadio di biancheria, e la portai nella sua stanza. L’avrei rimessa a posto prima che si svegliasse, e nessuno sarebbe stato più saggio.

Trattenendo il respiro, distesi la coperta sopra di lei; non reagì all’aggiunta di peso. Tornai alla sedia a dondolo.

Mentre aspettavo ansioso che si riscaldasse, pensai a Carlisle, chiedendomi dove fosse adesso. Sapevo che sarebbe filato tutto liscio, Alice lo aveva visto.

Pensare a mio padre mi fece sospirare, Carlisle mi dava troppo fiducia. Speravo di essere la persona che lui pensava che fossi. Quella persona, che meritava di essere felice, che poteva sperare di essere degna di questa ragazza che dormiva. Le cose sarebbero state diverse se fossi stato quell’Edward.

Mentre riflettevo su questo, un immagine strana e non richiesta mi riempì la mente.

Per un momento, la strega che avevo immaginato vestisse i panni del destino, quella che era in cerca di un modo per distruggere Bella, fu sostituita dal più sciocco e imprudente degli angeli. Un angelo guardiano, la versione che Carlisle poteva avere avuto di me. Con un sorriso incurante sulle labbra, e i suoi occhi dipinti del colore del cielo e pieni di corruzione, l’angelo creava Bella in modo tale che in alcun modo io avrei potuto disinteressarmene.

Una fragranza talmente potente da esigere la mia attenzione, un mente silenziosa per infiammare la mia curiosità, una bellezza modesta per imprigionarmi gli occhi, un’anima altruista per guadagnarsi il mio stupore. Omettendo il naturale senso di auto-conservazione – così che Bella potesse sopportare di rimanere accanto a me – e, per finire, aggiungendo una ampia dose di terribile sfortuna.

Con un’incurante risata, l’irresponsabile angelo spingeva la sua fragile creazione direttamente nel mio cammino, confidando allegramente nella mia viziata moralità di mantenere viva Bella.

In questa visione, non ero la sua condanna; lei era la mia ricompensa.

Scossi la testa alla fantasia di quell’angelo spensierato. Non era molto meglio della megera. Non potevo pensare bene di un angelo che si comportava in un modo così pericoloso e stupido. Almeno, avrei potuto combattere contro il suo orribile destino.

E io non avevo angeli. Erano riservati ai buoni – alle persone come Bella. Ma dov’era stato il suo angelo fino ad ora? Chi stava vegliando su di lei?

Risi silenziosamente, sorpreso, mentre realizzavo che, proprio adesso, stavo ricoprendo io quel ruolo.

Un angelo vampiro, c’era uno strappo alla regola.

Dopo una mezz’ora circa, Bella allentò la tensione dalla posizione in cui si era addormentata. Il suo respiro divenne più profondo e iniziò a mormorare nel sonno. Sorrisi, soddisfatto. Era una piccola cosa, ma almeno stanotte avrebbe dormito più comoda perché io ero lì.

“Edward,” sospirò, sorridendo.

Per il momento misi da parte la tragedia, e mi permisi di essere di nuovo felice.

 

 

Interrogatori

La CNN interruppe per prima il servizio. Fui felice che colpisse il notiziari prima che andassi a scuola, ansioso di… Fortunatamente, era una giornata di gravi notizie. C'era stato un terremoto in Sud America e un rapimento politico in…

Complicazioni

Io e Bella camminammo silenziosamente verso biologia. In quel momento stavo cercando di concentrarmi su me stesso, sulla ragazza accanto a me, su… Superammo Angela Weber, che indugiava nel corridoio, discutendo di un compito… Ah, c'era qualcosa che Angela voleva. Sfortunatamente, non era qualcosa che potesse essere facilmente incartato come…

– Êîíåö ðàáîòû –

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Higher Medical Course
So the main aim of the first stage of themedical trainings to provide a broad and solid foundation for professionalknowledge.The third through fifth… The course also includes subjects such as physician s ethics anddeontology.The… Studentsgather anamnesis, perform physical examination, observe instrumental diagnosticprocedures and treatment, and…

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